Archeoplastica, il museo dei rifiuti spiaggiati
Creato dalla guida naturalistica Enzo Suma, il progetto racchiude oltre 200 reperti che è possibile guardare online e dal vivo, in giro per l’Italia. Obiettivo: scoraggiare l’uso della plastica usa e getta
Può una bomboletta di spray abbronzante degli anni Cinquanta sopravvivere fino al 2023? La risposta è sì e la prova la trovate in Archeoplastica, il museo dei rifiuti spiaggiati. Creato da Enzo Suma, guida naturalistica Aigae di Ostuni (Br), il progetto è dedicato alla scoperta e datazione di tutto ciò che finisce sulle spiagge ed è fatto in plastica.
Come nasce il progetto archeoplastica?
Il primo ritrovamento ufficiale è avvenuto alla fine del 2018. Mi sono ritrovato tra le mani uno spray abbronzante. A colpirmi sulla confezione la data di produzione: 1950. Fino a quel momento ero stato un raccoglitore distratto: prendevo i rifiuti e li mettevo nel mio sacco per riciclarli. Quel giorno fotografai il contenitore e lo postai sui miei social. A colpirmi furono le reazioni alla pubblicazione.
Ad esempio?
Alcuni misero in dubbio la veridicità della data. Ma per la maggior parte degli utenti quella foto fu un modo per parlare dell’inquinamento del mare causato dalla plastica e la sua durata nell’ambiente.
Cos’è successo dopo questo primo scatto?
Abitando vicino al mare, iniziai a fare ricerche più scrupolose. Quando arrivai a duecento oggetti, nella mia mente iniziarono a diventare reperti archeologici.
In che senso?
Erano resti dell’era della plastica, un periodo iniziato negli anni Cinquanta, quando è diventata un materiale di massa. Per intenderci, dallo sviluppo del Moplen a oggi.
Così hai iniziato col progetto Archeoplastica...
A quel punto ho iniziato a lavorare per ufficializzare il progetto. Era il febbraio 2021. Non potendo lavorare come guida a causa del Covid, ho potuto dedicarmi al sito e alla riproduzione dei reperti in 3D per mostrarli online.
Ma come è possibile ritrovare in mare uno spray abbronzante degli anni 50?
Non c’è una risposta univoca, ci sono diverse possibilità. È molto probabile che il materiale arrivi dai corsi d’acqua. Da noi in Puglia passano anche attraverso lame e gravine. Poi ci sono i fiumi importanti che sfociano nel mar Adriatico e nel Tirreno. Così anche un flacone smaltito in modo sbagliato o gettato nell’ambiente, anche lontano dal mare, con una forte pioggia, un’inondazione, arriva al mare. Molti oggetti si trovano sui fondali marini: lo abbiamo scoperto con i sub. Ed è possibile che restino lì anche per decenni. D’inverno le mareggiate sconvolgono le spiagge, erodendole e tirano fuori quel materiale che dormiva lì per decenni, rimettendolo in circolo.
Quali sono i ritrovamenti più curiosi che hai fatto?
Quello che mi ha più colpito è stato un contenitore di miele degli anni Sessanta, trovato in provincia di Lecce, dopo una lunga giornata di ricerche. Raffigurava una specie di clown. Si capiva che sulla sommità mancava un tappo e che, quindi, doveva essere un contenitore. C’era solo l’indicazione dell’azienda produttrice, la Cazaplast, che produceva giocattoli in Grecia. Ho chiesto ai follower di aiutarmi a capire cosa fosse e una ragazza ci ha messo sulla strada giusta.
Ha iniziato a suggerire che fosse un contenitore di miele. Così abbiamo scoperto che era un personaggio simile a un Pierrot, creato dall’azienda ideatrice del personaggio alla fine degli anni Sessanta, che reggeva proprio un vasetto di miele. L’azienda ci ha anche mandato una foto del flacone originale del periodo.
Il tuo è un museo virtuale: hai mai pensato di renderlo reale?
In realtà i miei reperti vanno spesso in tour. La prima fu a Torre Colimena, frazione balneare del comune di Manduria, in provincia di Taranto. Due anni fa Bari ha ospitato le prime due esposizioni. La collaborazione con il National Geographic ci ha permesso di essere conosciuti anche a livello nazionale e museale. L’ultima mostra è stata organizzata al Festival della Scienza di Genova proprio quest’anno.
Hai degli hater?
No, è rarissimo vedere un commento negativo. All’inizio c’erano delle persone che non credevano che si potessero raccogliere oggetti così datati in spiaggia. Il fatto è che molti contenitori vecchi anche di cinquant’anni sembrano attuali. Così mi accusavano di postare dei fake. Ma la mia più grande soddisfazione è un’altra: oggi ci sono decine di persone che raccolgono questi oggetti. Il profilo ha spinto altri a guardare e recuperare i rifiuti di plastica in spiaggia. La grafica impressa sulla confezione ci dice, ad esempio, che abbiamo tra le mani qualcosa degli anni Ottanta o anche più vecchia. Altri dettagli della grafica ci permettono di datare il prodotto. Un vero e proprio lavoro da archeologi.
Hai degli hater?
No, è rarissimo vedere un commento negativo. All’inizio c’erano delle persone che non credevano che si potessero raccogliere oggetti così datati in spiaggia. Il fatto è che molti contenitori vecchi anche di cinquant’anni sembrano attuali. Così mi accusavano di postare dei fake. Ma la mia più grande soddisfazione è un’altra: oggi ci sono decine di persone che raccolgono questi oggetti. Il profilo ha spinto altri a guardare e recuperare i rifiuti di plastica in spiaggia. La grafica impressa sulla confezione ci dice, ad esempio, che abbiamo tra le mani qualcosa degli anni Ottanta o anche più vecchia. Altri dettagli della grafica ci permettono di datare il prodotto. Un vero e proprio lavoro da archeologi.
Archeoplastica si sostiene da solo?
Ora sì, grazie all’attività delle mostre. Ma nel 2021 abbiamo iniziato con un crowdfunding.
Qual è lo scopo del progetto? Cosa vuoi comunicare attraverso Archeoplastica?
Che la plastica dura tantissimo. Stiamo usando un materiale in grado di arrivare integro dopo più di cinquant’anni sul pianeta. Il problema è che lo usiamo per applicazioni di pochi minuti. Intendiamoci: la plastica è un materiale dalle caratteristiche eccezionali. Il problema è l’usa e getta. Noi lo denunciamo in maniera un po’ simpatica attraverso gli oggetti che sostano sulle nostre spiagge e la loro storia.
Stefania Leo
Foto di apertura: archeoplastica