Vladimir Majakovskij, tra arte, poesia e Rivoluzione
La poetica, il futurismo e la rivoluzione: tutto su Majakovskij, l'avanguardista russo
Vita e opere di Majakovskij
Vladimir Majakovskij nasce il 7 luglio 1893 nella Georgia allora ancora appartenente all’impero russo. È stato un artista che esplorò sia le arti pittoriche (con il futurismo e la grafica), che letterarie, in qualità di poeta, scrittore, giornalista e drammaturgo. In teatro fu anche attore e regista, sempre stando dalla parte dei movimenti d'avanguardia.
Formazione e i primi lavori
Nella sua autobiografia dichiara che dal 1905 non è interessato alla letteratura, ma alla filosofia di Hegel, alle scienze naturali e al marxismo, particolarmente affascinato dalla Prefazione a Per la critica dell'economia politica di Marx. Ancora adolescente, svolge intensa attività politica nel partito bolscevico. Nel 1908, a soli 15anni, entra a far parte del Partito bolscevico e viene arrestato tre volte. È in carcere che egli, sedicenne, incomincia a scrivere versi che riempiono un intero quaderno: “Un grazie ai guardiani: all'uscita me l'hanno sottratto, altrimenti l'avrei pubblicato!” Si dedica poi allo studio delle arti figurative, fu espulso nel 1914 dall'istituto di Pittura, scultura e architettura di Mosca per la sua appartenenza al gruppo dei cubofuturisti.
Nel 1913, dopo la morte del padre, si trasferisce a Mosca e appare il suo primo libro, Ja! ("Io!"). Nel dicembre 1913 interpreta, al teatro Luna Park a Pietroburgo, la propria tragedia Vladimir Majakovskij. Accolse la Rivoluzione d'ottobre con entusiasmo e nel 1922 organizzò il Lef (Levyj Front iskusstv, "Fronte di sinistra delle arti"), che raggruppò artisti, poeti, scenografi, registi, filologi vicini al futurismo, e pubblicò la rivista omonima. In quegli anni fu il simbolo di tutto ciò che v'era di moderno e di audace nell'arte sovietica. Del Lef redasse anche il Manifesto, in cui si legge: “I partiti rivoluzionari hanno picchiato contro la vita, l'arte è insorta per picchiare contro il gusto. La prima vampata impressionistica si è avuta nel 1909. La vampata è stata ravvivata per tre anni. L'hanno ravvivata nel futurismo”.
America, croce e delizia
All'apice del successo lascia Mosca il 25 maggio del 1925 e si trasferisce in America per tre mesi, attratto dal progresso, dalla velocità e dalle contraddizioni, il poeta oscilla tra stupito entusiasmo e rabbia e raccoglie tutte le sue impressioni in La mia scoperta dell'America. E così il cantore della Russia comunista sarà il primo poeta della Russia sovietica in visita nel tempio del capitalismo.
La morte, tra dubbi e misteri
La morte, avvenuta per supposto suicidio, a soli 36 anni, con un colpo al cuore il 14 aprile 1930, è ancora un capitolo ambiguo della storia sovietica: alcuni storici hanno messo in dubbio la versione del suicidio amoroso e hanno indicato la probabilità che Majakovskij sia stato "suicidato" dal regime.
Per alcuni quella fine appare come un segno: è morta l'utopia rivoluzionaria.
Ma c'è anche chi crede che Majakovskij – che non voleva pettegolezzi sulla sua morte – si sia ucciso oppresso dalla sifilide, o dalle tasse. E ci sono l'imbarazzo e l'irritazione dinnanzi a quella “stupida, pusillanime morte” (concluse la versione ufficiale), inconciliabile con la gioia di Stato, inammissibile per un comunista.
Eppure erano presenti due testimoni: Veronika Polonskaja - che ebbe un litigio con il poeta pochi secondi prima del fatale colpo di pistola - e Lili Brik, entrambe amiche e amanti di Majakovskij. Lili Brik fu anche sua guida politica, che tutti conosciamo perché immortalata da Rodchenko in una foto che ha fatto la storia.
Le sue ultime parole riecheggiano anche in quelle del nostro Cesare Pavese: “A tutti. Se muoio non incolpate nessuno. E per favore, niente pettegolezzi: il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta”.
Majakovskij scrittore
Tutta la sua poetica letteraria è fortemente critica contro il mondo letterario del passato, contro i burocrati d'ogni genere e contro il decadentismo; è invece, in tutta la sua produzione, favorevole a introdurre la politica nei versi, a inventare formule poetiche sovversive. Non mostra mai rimpianti per il mondo che cade, per l'Arcadia. Tutta la sua opera, dai lavori teatrali ai versi d'occasione, concepisce l'artista attivamente inserito nella nuova società sorta dalla rivoluzione. Odiava gli atteggiamenti mistici, ispirati, per questo gli piaceva profanare la poesia dell'Arcadia, preferendole versi sugli argomenti più «impoetici», come slogan pubblicitari per i prodotti commerciali della giovane Repubblica Sovietica (per esempio, pubblicizzò una nuova specie di tabacco con lo slogan: “Leda: tabacco aromatico e leggero: lo sopportano anche i polmoni di una farfalla”).
Majakovskij futurista
Questo spirito d'avanguardia è declinato in pittura con l'adesione al futurismo. La formazione di Majakovskij avviene negli anni che fanno seguito al fallimento della rivoluzione del 1905.
È nota l'adesione di Majakovskij alla Rivoluzione d'Ottobre (che lo rende ancora più popolare e amato), anche se destinata a incrinarsi con l'avvento di Stalin e la palese trasformazione degli ideali rivoluzionari in gestione del potere nelle mani di un tiranno, attaccato violentemente da Majakovskij.
Tornando al 1905, la sconfitta della prima rivoluzione russa aveva, infatti, generato panico, scoraggiamento e disgregazione tra gli intellettuali che si erano avvicinati al movimento operaio. Della reazione zarista, Majakovskij scriverà nel poema dedicato a Lenin: “Inferociva la reazione e gli intellettuali da tutto si distaccarono e insudiciarono tutto, comprarono delle candele e si rinchiusero in casa e incensavano i cercatori di Dio. ”.
In questo periodo si formano due esperienze pittoriche in Russia: da un lato il realismo sociale, che celebra e lusinga il progresso socialista e idealizza la cultura e il mondo pre-rivoluzionario, dall’altro le avanguardie, declinate in astrattismo (con il maestro suprematista Malevich), futurismo e simbolismo.
Nella sua autobiografia, riferendosi a quell'epoca, Majakovskij racconta: “Leggevo tutto ciò che vi era di nuovo. I simbolisti Belij, Bal'mont. La novità formale mi eccitava, ma tutto ciò mi era estraneo: i temi, le immagini non appartenevano alla mia vita. Cercai di scrivere anch'io in quel modo, ma di altre cose. Così constatai che «in quel modo e di altre cose» era impossibile. Il risultato era qualcosa di lacrimevole e di presuntuoso”.
È questo senso dell'insufficienza del mondo poetico decadente a portarlo verso il 1911 a dare la sua adesione al futurismo, che già da due anni aveva fatto sentire la sua voce (benché il manifesto programmatico, "Schiaffo al gusto del pubblico", dovesse uscire solo nel 1912). L'occasione fu la sua conoscenza con David Burljuk, con il quale scappa da un concerto di Rachmaninov che li annoia, convincendosi definitivamente di dar vita ad un'arte inedita, moderna, espressione adeguata del presente e di ciò che nel presente è gravido d'avvenire: “David ha la collera del maestro che ha sorpassato i contemporanei, io il pathos del socialista che è sicuro dell'inevitabile crollo del vecchiume. Il futurismo russo è nato”
Il futurismo russo
Il futurismo russo è differente da quello italiano, innanzitutto perché esclude il nazionalismo, invece un perno di quello italiano. Si fonda sull'odio del passato e il rifiuto delle concezioni piccolo-borghesi della vita, la visione di un avvenire umano lucido, dinamico, nuovo, nei futuristi russi hanno una radice storica decisamente più forte e progressiva.
Basti pensare al diverso atteggiamento dei futuristi italiani e russi di fronte alla prima guerra mondiale, e alla guerra in genere, che Marinetti definì “guerra, sola igiene del mondo” e “collaudo sanguinoso e necessario della forza di un popolo”. Di contro Majakovskij espresse: “Schifo e odio per la guerra” e “Tu che combatti per loro e muori, / quand’è che ti leverai in piedi / in tutta la tua statura / e lancerai sulla loro faccia / la tua ira profonda / in un grido: – Perché si combatte questa guerra?”. Majakovskij attaccò Marinetti nel 1913, sostenendo l'indipendenza del futurismo russo da quello italiano e criticando le sue onomatopee, e Marinetti rispose con una lettera inviata alla stampa russa.
Anche i gesti clamorosi e spettacolari, le aggressioni verbali, che, specie nei primi tempi del futurismo, affascinano il temperamento impulsivo di Majakovskij hanno quasi sempre per bersagli diverse situazioni, opinioni, tendenze che si dimostrano negative nei confronti dei gravi problemi che stanno davanti alla Russia di quel momento.
Il cubofuturismo
I cubofuturisti russi erano meno omogenei rispetto ai futuristi italiani: ogni personalità era così ricca che è difficile inquadrarla sotto un unico tipo di schema. Per esempio, l'allora più amato dei futuristi russi, Velimir Chlebnikov pecca di un certo primitivismo, mentre Majakovskij futurista vorrebbe la distruzione del vecchio e condivide con i futuristi italiani tutti quei miti della Città che sale: la folla, la gente, la velocità, l'elettricità. Lui e tutti i cubofuturisti avevano la consapevolezza della portata rivoluzionaria del loro lavoro e di partecipare con le loro opere alla distruzione del vecchio mondo.
Majakovskij drammaturgo
La lotta contro la società borghese diventa un tema centrale nella produzione drammaturgica di Majakovskij.
La rivolta degli oggetti
L’intento rivoluzionario del futurismo esplose soprattutto a teatro, quando Majakovskij portò in scena la tragedia intitolata La rivolta degli oggetti, accolta da insofferenza e indignazione. Portava sul palco una doppia protesta: quella degli umili contro i ricchi e opulenti (che si risposero subito fischiando l'opera) e quella degli oggetti, diventati così importanti e complicati nel mondo moderno da reclamare una completa libertà dagli uomini. Gli oggetti, rappresentati come enormi stravaganti giocattoli, suscitavano il disagio e l'apprensione della tragedia e pur servendosi di tutte le più esuberanti trovate del Futurismo, quello era lo spettacolo della plebe delle città russe e della sua sofferenza. Le immagini poetiche si trasformavano in maschere tra le quali Majakovskij con la blusa gialla da poeta arringava il pubblico.
Mistero buffo
La rivolta degli oggetti è presente anche nel primo dramma che si intitola Vladimir Majakovskij, mentre in Mistero buffo – scritto nel 1918 durante la rivoluzione – gli oggetti obbediscono come compagni all'uomo al proletario, per tornare a ribellarsi ne La Cimice del 1928. Questo motivo degli oggetti era caro a tutti i futuristi e passerà ai dadaisti e ai surrealisti.
Mistero buffo narra la storia di un mondo che rinasce grazie a una nuova arca di Noè, dove imbarcarsi a seguito dello scioglimento del polo e di un nuovo diluvio che sommerge le terre. Un gruppo di “impuri” (lavoratori, diseredati, emarginati) costruisce l’arca e intraprende una traversata delle acque alla ricerca della terra promessa, insieme con un gruppo di “puri” (cioè di potenti: rappresentanti di multinazionali, politici che difendono i loro interessi, burocrati, pseudo-intellettuali). I meccanismi di sfruttamento non cessano neanche in quelle condizioni estreme. Ma questo viaggio sarà per gli impuri un viaggio iniziatico. Il viaggio della loro liberazione, che alterna alla disperazione l’ironia di chi ormai non ha più nulla da perdere.
Questo dramma è corredato dalle principali opere pittoriche realizzate da Majakovskij in stile futurista, che esalta i miti della velocità, del progresso, dell'energia, della classe operaia sempre iperattiva:
- In Autoritratto. Giacca gialla (1918) si ritrae con la blusa da poeta indossata da una sorta di V sbilenca, come tutti i palazzi che la circondano. L'insistenza della diagonale conferisce movimento vertiginoso alla rappresentazione.
- In Una scena del dramma, un sole giallo irradia i suoi raggi appuntiti mossi da rotelle dentate che fanno ruotare il cerchio solare, come fosse un macchinario, verso cui si dirigono tre aerei blu con le eliche che girano velocissime. Tutt'intorno ancora palazzi sbilenchi e tra essi ciminiere e strade attraversate da forme triangolari in marcia. Sotto il palco la folla acclama.
- In Alluvione il disastro sfocia dal polo, che delle braccia spalancate cercano invano di contenere: l'acqua straripa come un'esplosione di segmenti e pallini rossi (il colore è simbolico dell'energia sprigionata), che rilascia anche centri concentrici di fumo.
- L'acqua increspata da L'arca è dipinta come una texture di losanghe solide, mentre l'arca pare un liuto con le corde della tastiera attraversate da due rondini blu, che sono il fumo delle ciminiere e tre ombre nere, una armata di martello.
- Infine, in un'illustrazione mette tutti i personaggi di Mistero buffo, tutti lavoratori identificabili dallo strumento di lavoro che brandiscono in mano, come fossero armi: tanti arnesi edili per costruire La città che sale, per dirla à la Boccioni. Un musicista tiene in mano un corno, che non sta suonando, benchè fiammeggi saette musicali. Un contadino ha in mano una carota e un rastrello per la terra, lo spazzacamino, la spazzola per pulire, c'è anche una donna con il grembiule da massaia e un ago da sarta tanto grande da sembrare una lancia, come a ricordare il ruolo della donna nella rivoluzione, come la sua Lili. Il cuoco con blusa e toque, il cappello da chef con pieghe arricciate porta una teglia da torta. Lo stile pittorico pare realizzato per scalpello, scrive il poeta: “L’arte non è uno specchio per riflettere il mondo, ma un martello per forgiarlo”.
Gli anni della rivoluzione
Gli anni della rivoluzione d'Ottobre rappresentano la stagione più creativa di Majakovskij.
Dopo Mistero buffo, nel 1920 compone 150.000.000, poemetto allegorico sulla rivoluzione comunista, cui segue Vladimir Il'ič Lenin che esplora il movimento operaio e chi lo ha ispirato e guidato. Fino al 1927 è direttore della rivista Lef, organo di informazione del medesimo fronte politico da lui creato.
Tuttavia perde la sua fiducia nella Rivoluzione d'ottobre negli anni successivi: scosso da dubbi, guarda con profondo turbamento la progressiva burocratizzazione che caratterizza la società russa minacciata dalla chiusura ideologica cui pare inevitabilmente condurre la dittatura di Stalin. L'estro indomito di Majakovskij si scatena contro questa restaurazione in due feroci commedie, destinate, sotto regime, all'insuccesso: La cimice (1928) e Il bagno (1929), ironica rappresentazione di un mondo popolato da burocrati stupidi e ottusi. Nel 1930 sciolse il Lef, per gli attacchi della associazione degli scrittori che lo accusa di scrivere opere incomprensibili e lontane dalle esigenze del popolo. In aprile si uccide.
Le poesie
Se per noi è particolarmente difficile definire univocamente Majakovskij, visto il suo eclettismo artistico, lui non ha dubbi e nella sua autobiografia si presenta: “Sono poeta. E per questo sono interessante. E di questo scrivo. Se amo o sono un giocatore d'azzardo, delle bellezze naturali del Caucaso e del resto: soltanto se si è decantato nella parola”. Anche il cinema riconosce Majakovskij come poeta: nel marzo 1918 Majakovskij scrisse per la Neptune la sceneggiatura Nato non per i soldi (da Martin Eden di Jack London) ed egli interpreta nel film il ruolo del protagonista, il poeta Ivan Nov.
La sua arte dirompente non trovava e non poteva trovare uno spazio vitale dentro gli schemi del burocratismo, ma poté sfogarla nella poesia: introdusse la politica nei versi e inventò formule poetiche sovversive. E fu un poeta «ingombrante», perché gli piaceva profanare il “tempio della poesia”, scrivere versi sugli argomenti più non tradizionalmente poetici. Anche la sua lirica reagiva all'indolenza di un clima letterario, al conformismo, a “ce qu'on appelle la poésie”, come dice un
suo personaggio.
È questo senso dell'insufficienza del mondo poetico decadente a portarlo verso il 1911 a dare la sua adesione al futurismo, che già da due anni aveva fatto sentire la sua voce. Quando entra a far parte del partito bolscevico, sente ormai in maniera irresistibile la sua vocazione di poeta, ma sente al tempo stesso i limiti della sua preparazione, come constata: “Il mio punto di vista sull'universo è giusto, ma non ho l'esperienza dell'arte. Come posso farmela? Sono ignorante. Ho bisogno di passare attraverso una scuola seria. Invece già due volte m'è toccato abbandonare tutto, il ginnasio e l'Istituto Stroganov. Se restavo nel partito dovevo passare nell'illegalità e mi pareva che nell'illegalità non si potesse imparare niente. Prospettive: scrivere per tutta la vita dei manifesti, esporre delle idee prese da libri giusti, ma non scritti da me. Se mi si toglieva quello che avevo letto, cosa sarebbe rimasto? Il metodo marxista. Ma quest'arma non era forse caduta nelle mani di un bambino?”.
La nuvola in calzoni
Riesce a scrivere versi assolutamente innovativi con altri modi nel 1915 con La nuvola in calzoni. Si tratta di un'opera carica di tensione drammatica, di vitalità, di slanci, di toni patetici e d'invettive; un'opera che nella storia della poesia europea contemporanea occupa un posto di estrema importanza per la prepotenza dell'invenzione formale, la novità, la veemenza dell'ispirazione. L'approccio alla poesia di Majakovskij è carico di emozioni e passione.
Il componimento arringa contro tutto ciò che Majakovskij odiava, attraverso un'ironia implacabile, cosmica, densa di sarcasmi, di umori sfrenati e sacrileghi. Anche l'amore si amplifica in un ritmo di immagini strepitose che investono la vita dell'uomo in tutti i suoi rapporti e i suoi problemi. Con questo componimento finalmente getta le basi di un linguaggio poetico nuovo, fuori dalle formule consacrate dalla tradizione letteraria: un linguaggio plastico, oggettivo, e al tempo stesso concitato, smisurato, iperbolico.
“Nessuno ora mi riconoscerebbe: / una montagna di nervi / geme / si contorce. / Che può volere questa massa informe? / Di tante, tante cose avrebbe voglia!”
Lo scrittore Osip Brik, dopo che l'opera fu censurata scrisse: “La nuvola è cirrosa. La censura vi ha soffiato dentro. Sei pagine di puntini di sospensione!”.
Da questo momento lo sviluppo della poesia del poeta sovietico non conosce mai stasi né stanchezza, anzi, diventerà più acuta, più sicura e completa. Cadranno alcune esasperazioni, ma i modi e la poetica resteranno gli stessi del futurismo: con le sue polemiche, il suo dinamismo, la sua aggressività, il suo costante spirito d'innovatore. Nel saggio del 1926, "Come fare i versi", scrive: “Non posso dare nessuna regola che trasformi un uomo in poeta. Queste regole non esistono. Piuttosto: è poeta l'uomo che crea queste regole... Faccio un esempio, per analogia: il matematico è un uomo che crea, completa, sviluppa le regole della matematica, un uomo che apporta qualcosa di nuovo nelle conoscenze della matematica L'uomo che per la prima volta ha formulato il «due più due uguale quattro» fu un grande matematico, anche se è arrivato a questa verità addizionando due cicche a due altre cicche. Tutti quelli che vengono dopo di lui, anche se addizionano cose incomparabilmente più grandi, per esempio delle locomotive, non sono dei matematici”.
Bene!
Così come sarà il successivo Bene! (1926-27), dedicato per intero alla Rivoluzione d'ottobre e agli anni del comunismo di guerra. Nella sua autobiografia, Majakovskij scrive: “Io considero il mio Bene! come un manifesto, proprio come lo fu a suo tempo "La nuvola in calzoni". Limitazione dei procedimenti poetici astratti (iperboli, immagini enunciate come vignette valide in sé) e invenzione di procedimenti di lavoro su di un materiale di cronaca e d'agitazione. L'ironia sentimentale per descrivere dei particolari che sono insignificanti in se stessi, , ma che potrebbero rappresentare un passo in avanti nella buona direzione dell'avvenire ("Veli - contro le mosche - e freschi formaggi. - Risplendono le luci: 'Prezzi – ribassati")”. Abbandona le sue iniziali esagerazioni declamatorie per essere il più concreto possibile, rifiutando le tradizionali figure retoriche, come similitudini e derivati, piuttosto preferisce il linguaggio cinematografico, come il montaggio analogico di Ėjzenštejn.
Notte di luna
Per esempio. In Notte di luna, l'astro più amato e celebrato dai poeti, dall'idilliaca “Luna lucente” che illumina gli accampamenti troiani di Omero, alla luna di Ariosto, deposito dei senni perduti, a quella che illumina e ispira canti e idilli leopardiani, fino alle Tristezze della luna sognante di un altro poeta maledetto come Baudelaire così immalinconito quando canta la luna, alla commovente e romantica Sonata al chiaro di luna Beethoven, perché ogni poeta, ogni sensibilità che guarda la luna, vede la stessa magnifica immensa bellezza del creato. Majakovskij no. E anche l'odiato-amato Marinetti intitola in quello che è considerato un manifesto del futurismo Uccidiamo il chiaro di luna!
In Notte di luna, Majakovskij la fa mescolare sì da Dio in persona, ma con il cappello da chef, e la sua creatura come fosse il pesce di un cacciucco stellare, immagine del tutto inedita, se non in pittura dal “pazzo” Van Gogh, e assurda.
“Verrà la luna è già apparsa un po'! Ma eccola sospesa piena nell'aria deve essere Dio Che con un meraviglioso cucchiaio d'argento rimesta la zuppa di pesce stellare”.
Anche quando si focalizza su "I dieci giorni che sconvolsero il mondo", il poeta crea un'immagine drammatica, basata sull'unità del contrasto giocato sul continuo passaggio dalla cronaca minuta, spicciola, personale, al fatto storico di portata epocale e viceversa. Gli interessa lo shock suscitato da due realtà contraddittorie messe bruscamente l'una accanto all'altra; quindi una continua sollecitazione dei sentimenti percossi dall'incessante successione di fatti di natura diversa: odio, amore, tenerezza, ira, entusiasmo, sgomento, furore, provocati nel lettore col veloce giro dei versi. Stilisticamente ottenute con la tensione del ritmo, fusione violenta di due realtà separate, avvicinamento di due fatti distinti mediante una palpitante contrazione, densa concisione e dirompente energia:
L'asprezza critica della poesia di Majakovskij nei confronti di ogni costume piccolo-borghese, di ogni conformismo e arrivismo, dopo la rivoluzione più ancora di prima, gli attirano addosso le ire dei letterati conservatori, dei funzionari della cultura e della poesia, di certa politica; anche perché sono soprattutto questi tipi di personaggi ufficiali che Majakovskij non si stanca di prendere di mira. I profittatori di ogni categoria sono nemici della società sovietica e quindi egli non li risparmia. Majakovskij avrebbe voluto vedere la Repubblica degli operai e dei contadini sorta dai giorni incandescenti dell'Ottobre liberata da ogni meschinità del passato.
All'amato me stesso
All'amato me stesso è la poesia più celebre di Majakovskij, nonché quella che meglio trasmette il senso di inquietudine esistenziale che caratterizzò la vita del poeta. È rabbiosa e potente, piena di ritmi, pause e volumi, quasi fosse un monologo teatrale, interpretato dall'autore stesso.
La poesia, scritta nei primi mesi del 1916, dimostra che il poeta aveva già consapevolezza della portata straordinariamente dirompente del suo poetare attraverso antitesi e periodi ipotetici dell'irrealtà, con un apodosi mai realizzabile, così come forse mai poté amarsi, al punto che si suicidò. È certo, come già si evince dal titolo della poesia, che Majakovskij avesse compreso la sua qualità di poeta e che mai nascose: nella primavera del 1918 incontrò il compositore Sergej Prokofiev, il quale ricorda la dedica su un libro che Majakovskij gli donò: “Al presidente del mondo per la musica, il presidente del mondo per la poesia. A Prokofiev, Majakovskij”.
Quattro. Pesanti come un colpo.
"A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio".
Ma uno come me dove potrà ficcarsi?
Dove mi si è apprestata una tana?
S'io fossi piccolo come il grande oceano,
mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l'alta marea,
accarezzando la luna.
Dove trovare un'amata uguale a me?
Angusto sarebbe il cielo per contenerla!
O s'io fossi povero come un miliardario. Che cos'è il denaro per l'anima?
Un ladro insaziabile s'annida in essa:
all'orda sfrenata di tutti i miei desideri
non basta l'oro di tutte le Californie!
S'io fossi balbuziente come Dante o Petrarca...
Accendere l'anima per una sola, ordinarle coi versi...
Struggersi in cenere.
E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo:
pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto
le amanti di tutti i secoli.
O s'io fossi silenzioso, umil tuono... Gemerei stringendo
con un brivido l'intrepido eremo della terra...
Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa.
Le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
gettandosi a capofitto dalla malinconia.
Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
s'io fossi appannato come il sole...
Che bisogno ho io d'abbeverare col mio splendore
il grembo dimagrato della terra?
Passerò trascinando il mio enorme amore
in quale notte delirante e malaticcia?
Da quali Golia fui concepito
così grande,
e così inutile?
Laura Cusmà Piccione