Migranti climatici, il risvolto sociale ed etico del riscaldamento globale
La crisi climatica sta dando vita a nuovi flussi migratori. Interi popoli sono costretti a lasciare il proprio Paese a causa di eventi metereologici estremi e siccità.
I migranti climatici sono esseri umani che, per sfuggire a eventi climatici avversi, sempre più frequenti e devastanti sul pianeta, sono costretti o scelgono di andare a vivere in altri paesi con climi più "controllati". Un tempo erano definiti temperati, ma anche in questa fascia del pianeta inondazioni, siccità e alte temperature stanno riscrivendo la geografia fisica. Quindi accanto a cause politiche ed economiche, oggi anche il clima alimenta i flussi migratori, dando vita anche a una nuova categoria di "rifugiati": quelli ambientali.
Gli effetti della crisi climatica
Il Guardian l'ha definita crisi climatica, alzando l'asticella rispetto alla più blanda espressione climate change. La variazione ha un senso perché, come ogni crisi che si rispetti, frequenza e intensità di disastri improvvisi impongono una perenne gestione dell'emergenza a tanti stati e ai suoi abitanti. Molti si danno alla fuga.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2022 17,2 milioni di persone sono state costrette a fuggire a causa di fenomeni distruttivi e rischi meteorologici. Si tratta di enormi spostamenti di uomini e donne all’interno del loro stesso paese o in quelli confinanti, cercando climi migliori e condizioni di vita più sicure. Infatti, la crisi climatica esaspera anche persecuzioni razziali, culturali e politiche, nonché conflitti bellici.
"Nascono" i migranti climatici
I migranti climatici lasciano il proprio Paese di origine a causa di un evento improvviso o progressivo dovuto alla crisi del clima. Vengono per lo più dall'Africa, in special modo da Somalia, Sudan e Repubblica Sudafricana. Secondo l’Unhcr “le regioni in via di sviluppo, che sono tra le più vulnerabili dal punto di vista climatico, ospitano l’84% dei rifugiati del mondo. Gli eventi meteorologici estremi e i pericoli in queste regioni che ospitano i rifugiati stanno sconvolgendo la loro vita, esacerbando i loro bisogni umanitari e perfino costringendoli a fuggire di nuovo”.
Perché si chiamano migranti climatici e non rifugiati
Attenzione però a chiamarli rifugiati. Infatti, è un'espressione impropria perché non esiste alcuna norma del diritto internazionale che li definisce. La Convenzione sui rifugiati di Ginevra (1951) definisce il rifugiato come qualcuno che ha attraversato una frontiera internazionale «a causa del fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per un’opinione politica».
Ma, come dichiarato dall'Alto Commissario per i Rifugiati Filippo Grandi, «l’immagine che [quell’espressione] trasmette – di persone fuggite dalle loro case a causa dell’emergenza climatica – ha giustamente catturato l’attenzione dell’opinione pubblica».
Se la crisi climatica produce centinaia di migliaia di sfollati, questi devono essere protetti e assistiti secondo standard internazionali e linee guida generali per “internal displaced people”. Le persone in fuga oltre confine e che non possono tornare a casa, hanno il diritto di chiedere forme complementari di protezione internazionale.
Che tipo di assistenza offrire ai migranti climatici
Le persone colpite dai cambiamenti climatici hanno bisogno di supporto in termini di informazioni, formazione e aiuti in termini di viaggio. Inoltre, sono necessarie attività sul campo per ridurre concretamente i danni provocati dai disastri ambientali agli sfollati; anticipare gli effetti di questi eventi e preparare la popolazione.
Serva supporto tecnico e legali agli Stati colpiti da tempeste e altre catastrofi climatiche. Inoltre, bisogna promuovere policy coerenti con altre norme adottate nei paesi colpiti da eventi climatici distruttivi. Infine, è necessario sostenere nuove ricerche che sostengano e amplifichino i risultati nell'ambito delle migrazioni climatiche.
Stefania Leo
Foto di apertura: 123rf