La caccia
Nell'antico Egitto, un paese in cui l'amministrazione del faraone controllava tutte le diverse attività legate all'economia, ci si dedicava con passione a un'attività che, oltre a procurare cibo, era anche un divertimento: la caccia.
Erodoto non sbagliò nell'affermare che l'Egitto era un dono del Nilo. Lungo le rive limacciose del grande fiume, crescevano giardini rigogliosi e fitti di vegetazione abitati da una grande varietà di animali. Questa ricchezza era completata dalle specie che vivevano nel deserto e sulle montagne. Da tempi remoti gli abitanti della Valle del Nilo sfruttavano queste risorse faunistiche. Nel Paleolitico, i gruppi di cacciatori nomadi andavano in cerca delle mandrie. Durante il Neolitico e il periodo predinastico, la caccia divenne una fonte importante di cibo, che integrava e completava la produzione agricola e l'allevamento del bestiame. Dai reperti di queste epoche, soprattutto figurine, si deduce che le specie più catturate erano, tra le altre, leoni, leopardi, ippopotami e che le armi più usate erano lance, arpioni o boomerang. La tecnica di caccia rimase riflessa soltanto tardivamente nei rilievi delle tavolozze predinastiche: durante il periodo predinastico, e continuando un'usanza preistorica, venivano fabbricate delle piccole tavolozze, che servivano per mescolare i cosmetici. I primi esemplari avevano la superficie liscia ma, col tempo, si cominciò ad applicarvi la decorazione in rilievo. Dalle scene rappresentate si sono avute le maggiori informazioni sugli aspetti della vita quotidiana, della cultura e della civiltà egizie.
La caccia di uccelli dei pantani era, in Egitto, un piacere esclusivamente riservato alla classe dominante. Alla fine della stagione delle inondazioni, oltre alle specie autoctone, c'erano molti uccelli migratori di passaggio. I nobili si muovevano silenziosamente tra i cespugli in una canoa di papiro. Per catturare gli uccelli si usava il palo curvo, un boomerang che non tornava indietro. I servitori accompagnavano il signore nelle sue spedizioni di caccia, e non avevano solo la funzione di assistere il cacciatore, ma anche di trasportare le armi e le prede catturate. Una volta riempite le trappole, ai servitori spettava loro il compito di recuperare gli esemplari catturati. Per il trasporto venivano usate delle apposite gabbie. Se il numero di prede era molto elevato e le gabbie già troppo piene, il servitore incrociava o spezzava le ali agli uccelli per tenerli immobilizzati. Nel gruppo erano compresi anche i cani, che correvano a recuperare le prede abbattute dal loro padrone. Un altro animale utilizzato nelle battute di caccia era il gatto, che recuperava la preda abbattuta e la depositava nella barca.
Nell'epoca faraonica, la caccia, oltre a essere una fonte ausiliaria di cibo, si trasformò in uno sport per il piacere delle classi abbienti. Faraoni e nobili, che si fecero rappresentare nelle loro tombe nell'atto di cacciare, dimostravano attraverso questa pratica la loro forza, il loro valore e la loro abilità. Grazie alle pitture funerarie è stato possibile venire a conoscenza delle avventure di caccia di alcuni dei faraoni più potenti. Così, si è scoperto che Amenhotep III aveva catturato 200 leoni in 10 anni e che Sethi I aveva affrontato, armato solo di una lancia, un leone ferocissimo. Come risorsa economica, la caccia si praticava in gruppo, utilizzando trappole con rete o buche scavate nel terreno per catturare gli animali. Una parte delle prede veniva consumata, dopo aver sacrificato sul momento gli animali; il resto veniva destinato all'ingrasso, trasformandosi così in una sicura riserva di cibo.
L’ippopotamo
Nell'antichità era una specie molto numerosa nei pressi del Nilo. Era il re del fiume, in grado di annientare qualsiasi rivale. La caccia all'ippopotamo era una delle più pericolose. Le squadre di cacciatori dovevano mantenersi a una certa distanza, perché, se l'animale rimaneva soltanto ferito, poteva attaccare l'imbarcazione. Oggi, la popolazione di ippopotami si trova più a sud. La caccia all'ippopotamo era molto diffusa. La tecnica si basava sul lancio di un arpione, costituito da un'asta di legno alla cui estremità veniva posto un gancio metallico che, una volta conficcato nell'animale, restava unito al manico attraverso una corda che veniva tirata per raggiungere la preda. Nel deserto la tecnica di caccia cambiava. Inizialmente veniva realizzata a piedi ma in seguito, ai tempi di Thutmosi IV, si cominciò a usare un carro tirato da cavalli, dal quale il signore, armato di arco, scagliava le frecce all'esemplare scelto.
La caccia al toro
Nella civiltà egizia la figura del toro era legata a diversi aspetti. Da un lato, era forza di lavoro per i campi, dall'altro, aveva un significato religioso. Il toro era l'emblema di alcuni nomos (dipartimenti) in cui era diviso il territorio egiziano e nei quali era venerato; era anche l'animale sacro ad alcuni dei come Ptah e Montu, ed era considerato l'inviato di Ra. Simbolo della fertilità, il suo lombo veniva offerto agli dei; la sua immagine rappresentava la crescita annuale del Nilo e la sua forza, il potere e il valore, ragion per cui era associato alla figura del faraone. La cattura del toro selvatico si effettuava con il sistema del laccio, lanciato dal faraone o dal nobile in piedi sul carro. A volte, per accorciare i tempi della caccia, si feriva il toro per fiaccare la sua resistenza fisica. Una volta indebolito, l'animale era trasportato in un luogo recintato, dove veniva ingrassato.
Uccelli e coccodrilli
Quando non era il passatempo dei nobili, la caccia agli uccelli si faceva in gruppo, usando una serie di trappole formate da reti con 6-8 lati, che si stendevano a terra, e una corda che passava per ciascun angolo della rete consentendo in questo modo di regolare l'entrata. Per attirare gli uccelli nelle trappole si utilizzavano grano e vermi. Quando la rete era piena, un uomo messo di vedetta faceva un segnale con un fazzoletto e il resto del gruppo tirava la corda e chiudeva la rete.
L'aggressività dei coccodrilli fece sì che gli antichi egizi li associassero alla malvagità. Così, il coccodrillo era il simbolo del caos e le sue fauci aperte rappresentavano l'inferno. Questo animale era associato anche al culto di Ra (all'alba, il rettile, come il disco solare, emergeva dalle acque). In seguito il suo culto fu praticato in diversi luoghi dell'Egitto come la divinità indipendente Sobek.