A spasso per Palenque
Il Palazzo che si erge al centro di Palenque su una piattaforma alta 10 metri è in realtà un agglomerato di vari edifici addossati gli uni agli altri che vennero costruiti in un arco di 120 anni a partire dal 600 a.C., quando Palenque era governata dalla regina Zak Kuk, madre del grande sovrano Pacal. Tutti gli ambienti sono raggruppati intorno a delle corti e sono decorati con ricchi stucchi – un tempo dipinto di giallo, verde e blu – che raffigurano scene di incoronazioni o le imprese memorabili dei sovrani. Sui gradini della corte centrale sono incisi numerosi glifi del calendario, mentre lungo le pareti sono state innalzate delle lastre con immagini di schiavi o di prigionieri di alto rango, a giudicare dalle vesti sfarzose che indossano.
Il Gruppo della Croce , costruito alle spalle del Palazzo sul lato sinistro del torrente che attraversa la città, è costituito da tre templi: il Tempio della Croce, il Tempio della Croce Fogliata e il Tempio del Sole. Si tratta di tre edifici a pianta rettangolare sormontati da una struttura a cresta, con pilastri che scandiscono la facciata, mentre l’interno è diviso in tre piccole stanze dalla falsa volta, tipica dell’architettura maya, rivestite da pannelli istoriati. Il Tempio della Croce e quello della Croce Fogliata devono il loro nome a un’errata interpretazione dei primi scopritori, che videro sulle pareti un rilievo che somigliava a una croce, ma che in realtà raffigurava la Ceiba, l’Albero Cosmico dei Maya. Il Tempio del Sole mostra invece delle immagini di giaguaro e si pensa quindi che fosse dedicato ai sacrifici di sangue e alla guerra. Ai tre templi erano associate altrettante divinità di cui non si conoscono i nomi e perciò ricordate come “Triade di Palenque”.
La Piramide delle Iscrizioni è invece l’edificio piú imponente dell’antica Palenque e dalla cima della ripida gradinata si può cogliere l’intera città che si perde nel mare verde della foresta tropicale. I pilastri della facciata sono decorati con stucchi che mostrano il re Pacal insieme al dio K, una divinità legata alla classe dominante. In origine i rilievi erano dipinti seguendo delle regole precise: il rosso serviva per colorare i corpi dei re e le parti umane delle figure antropomorfe che rappresentavano la terra; il giallo veniva usato per le immagini di felini, per le piante acquatiche e per i serpenti ed era il colore dell’Inframondo; il blu era invece il simbolo del cielo e in questa tonalità venivano dipinti gli dèi e gli attributi divini dei sovrani.
Quando, nel 1949, l’archeologo Alberto Ruz Lhiullier aprí una botola nel pavimento del Tempio delle Iscrizioni di Palenque, non aveva la minima idea di aver fatto una delle scoperte piú clamorose sulla civiltà maya. Ci vollero quasi tre anni per liberare la gradinata sottostante da terra, calce e pietre. Finalmente, nel 1952, Alberto Ruz poté scenderla e accedere al ventre della piramide: il passaggio era però ancora ostruito da due muri, l’uno di detriti e l’altro costruito in pietra. Ai piedi di questo secondo ostacolo Ruz trovò un cassettone di pietra che conteneva alcune offerte votive: orecchini, pezzi di collana, due piatti di ceramica e una perla. Una volta abbattuto il muro, l’archeologo vide sei scheletri – cinque di sesso maschile e una donna – che recavano gli attributi dei personaggi di alto rango: avevano il cranio deformato e i denti incrostati. Ruz era ormai certo che, oltrepassando quella camera, avrebbe potuto svelare il segreto della piramide, poiché gli scheletri appartenevano probabilmente ai dignitari che erano stati sacrificati alla morte di un re.
Rimosso l’ultimo ostacolo, Ruz penetrò in una stanza lunga 9 m, larga appena 4 e alta 7, con nove grandi figure di stucco che decoravano le pareti, mentre il pavimento era quasi interamente occupato da una massiccia lastra scolpita sormontata da un coperchio di pietra con un bassorilievo che raffigurava l’Albero Cosmico, alla cui sommità era Itzámná, il dio supremo, e inoltre un sovrano che emerge dalle fauci del Mostro Terrestre, simbolo di morte. Ormai non vi erano piú dubbi: doveva trattarsi del sepolcro di un’importante autorità regnante a Palenque. Tra mille difficoltà tecniche Ruz riuscí a far sollevare il pesante coperchio e vedere il volto dell’antico sovrano: «La prima impressione fu quella di contemplare un mosaico verde, rosso e bianco, ma poi il mosaico si scompose in dettagli e vidi ornamenti di verde giada, ossa e denti dipinti di rosso e frammenti di una maschera» – raccontò Ruz in seguito. Il corredo funerario era ricchissimo e consisteva in un diadema, orecchini, una collana, un pettorale, bracciali, anelli, statuine e una maschera tutti in giada, nonché preziose teste in stucco, forse ritratti dello stesso sovrano. Sebbene molti studiosi abbiano identificato il defunto con il re Kin Pacal (il Signore Scudo Solare), Alberto Ruz non fu mai d’accordo con questa interpretazione e a tutt’oggi non c’è ancora una spiegazione definitiva.