scàbbia

sf. [sec. XIV; latino scabíes, da scabĕre, grattare]. Malattia parassitaria della pelle dovuta all'acaro . La scabbia assume aspetti clinici diversi in rapporto all'estensione del processo morboso o all'eventuale sovrapposizione di complicazioni da grattamento. Il segno patognomonico è dato dal cunicolo scavato dall'acaro, che ha forma lineare o a arco di cerchio, di uno o più millimetri di lunghezza, di colore bianco o roseo, simile alla cute vicina. Accanto al cunicolo si possono osservare, specie nelle forme che durano da tempo, alcune vescichette perlacee a contenuto limpido e prive di alone infiammatorio. Il contagio avviene attraverso la biancheria del letto oppure mediante il contatto diretto tra malato e sano. Le sedi elettive sono in rapporto alla predilezione dell'acaro al riparo da traumi: spazi interdigitali, lato flessorio dei gomiti, pilastro anteriore dell'ascella, areola mammaria, dorso del pene, scroto, glande; nei bambini, regioni glutee e piedi; capo e collo sono risparmiati. L'eruzione scabbiosa è accompagnata da prurito, specie notturno, a volte intenso. Le possibili complicanze sono provocate da grattamento: flittene da piogeni, pustole impetiginoidi, eczemi ecc. In mancanza di cure la malattia si cronicizza. Una forma clinica particolare è costituita dalla scabbia norvegese, riscontrabile in Scandinavia e sostenuta dallo stesso tipo di acaro che colpisce soggetti resi vulnerabili da particolari condizioni immunologiche; è caratterizzata da ipercheratosi, croste ed eritrodermia estesa con possibile localizzazione al capo e al collo. La scabbia si cura con l'applicazione su tutta la superficie cutanea di farmaci antiacarici e disinfestando biancheria, coperte, vestiti ecc.

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