sf. [sec. XIX; da psichiatra]. Branca della medicina che si occupa dello studio, della prevenzione, della diagnosi e della cura delle malattie mentali.

Cenni storici: dalle origini alla fine dell'Ottocento

La storia della psichiatria dal punto di vista scientifico è abbastanza recente, in quanto solo a partire dal sec. XIX, salvo rare eccezioni, le malattie mentali sono state considerate delle forme morbose e non frutto di possessione diabolica. Occorre però dire che già nell'antichità classica si possono registrare felici intuizioni da parte di medici e filosofi sulla natura delle malattie mentali. Così Alcmeone, che operò a Crotone nel sec. VI a. C., considerava l'uomo un'unità di corpo e psiche e la salute un equilibrio di forze, o isonomia. La situazione di squilibrio, o disonomia, porta alla malattia non solo fisica, ma anche mentale. Alcmeone fu anche il primo a considerare il cervello fonte del pensiero, e non il cuore. Un primo abbozzo di classificazione delle malattie mentali risale comunque a Ippocrate, cui si deve anche il nome di “isteria”. Galeno, nel sec. II d. C., ampliò gli studi sull'isteria, distinguendola da altre forme convulsive (ma non dall'epilessia), e descrisse l'ipocondria. In epoca bizantina, Ezio d'Amida indicò in vapori prodotti da fermentazioni intestinali e saliti al cervello la genesi delle malattie mentali. Già nell'antichità, comunque, l'ipotesi eziopatogenica prevalente per le malattie mentali era quella della possessione diabolica e tale ipotesi si affermò profondamente nel Medioevo, in particolare per le forme isteriche e le psicosi con delirio e allucinazioni, dominando sino a tutto il Seicento (ancora nel 1775, in Baviera, vi fu l'esecuzione di un'indemoniata). Fondatore della psichiatria moderna è considerato il francese Ph. Pinel, che cominciò a interessarsi di problemi psichiatrici nel 1785 e divenne direttore del manicomio di Bicêtre nel 1793 e della Salpêtrière nel 1795. Nel 1801 scrisse quello che può essere considerato il primo vero trattato di psichiatria; il suo più illustre allievo, J. Esquirol, completò la sua opera sistematica compilando le voci psichiatriche del Grande Dizionario Medico francese. Con Pinel ed Esquirol la nuova disciplina acquistava così una vera veste scientifica, la nosografia delle varie forme si chiariva, si cominciava a porre il problema della terapia in modo diverso dalla semplice custodia (spesso in condizioni inumane) o dall'esorcismo. La riorganizzazione e l'umanizzazione dei luoghi di ricovero fu uno dei più grandi meriti di Pinel; un importante contributo di Pinel ed Esquirol alla nuova disciplina fu inoltre quello di aver dato la giusta importanza alle cause psichiche e alle influenze ambientali nella genesi delle malattie mentali. Un altro psichiatra francese, B. A. Morel, che contribuì in modo fondamentale a un ulteriore chiarimento nosografico delle forme psichiatriche, introdusse invece nel 1857 il concetto di “degenerazione”, trasmissibile ereditariamente, come base delle malattie mentali, concetto che venne sostenuto anche nel 1882 dal Magnan. Un contributo fondamentale alla nosografia delle forme psichiatriche doveva però venire dalla scuola tedesca, e in particolare da E. Kraepelin. Questi, sulla base di un'enorme casistica, descrisse la psicosi maniaco-depressiva e la demenza precoce, individuandole come le due più importanti psicosi. Il concetto di demenza precoce venne quindi sostanzialmente rivisto da E. Bleuler, che chiamò nel 1911 questa forma “schizofrenia”.

Cenni storici: la psichiatria nel Novecento

All'inizio del sec. XX, quindi, la nosografia psichiatrica assumeva sostanzialmente la veste che le si riconosce oggi, salvo alcune differenze di non grande rilievo. Ma se da un lato si era ottenuto un chiarimento sostanziale su quali fossero le principali forme di interesse psichiatrico, di cui si possedevano anche descrizioni accurate e attendibili, dall'altro le conoscenze erano del tutto insufficienti sia per ciò che riguardava la terapia, sia per ciò che riguardava le cause delle malattie mentali. Sul piano terapeutico i progressi sostanziali si ebbero con l'introduzione delle terapie di shock e con la scoperta degli psicofarmaci. La prima terapia di shock fu la malarioterapia, introdotta da W. Jauregg nel 1917 per la cura della paralisi progressiva, gravissima manifestazione terziaria della sifilide. Essa consiste nell'inoculazione di sangue di malarico contenente Plasmodium vivax al paziente. L'infezione conseguente provocava febbre alta e, con questa, una liberazione, a livello cerebrale, di diversi neurotrasmettitori, tra cui la serotonina e la noradrenalina, spesso coinvolte nella genesi dei sintomi psicotici. Tale meccanismo è probabilmente analogo a quello da cui dipende l'elettroshock. Alla malarioterapia seguì, come terapia di shock, la cura insulinica di Sackel (1933), consistente nel produrre un coma ipoglicemico mediante somministrazione di insulina. Il paziente viene quindi risvegliato dal coma con somministrazione di glucosio. Successivamente nacquero le terapie convulsivanti; la prima di queste fu la terapia cardiazolica di von Meduna (1935), a cui doveva seguire l'elettroshock di U. Cerletti (1938). In entrambi i casi la terapia consiste nella provocazione di accessi convulsivi di tipo epilettiforme, provocati nel primo caso dalla somministrazione endovena di Cardiazol, nel secondo dalla somministrazione di una corrente elettrica di ben precise caratteristiche al cranio del paziente. Le terapie di shock portarono a un radicale mutamento della prognosi delle malattie mentali, che per la prima volta si dimostrarono “curabili”. Il loro meccanismo d'azione non è ancora del tutto chiarito, ma si basa fondamentalmente sul rilascio di alcuni mediatori cerebrali. Esse trovano indicazione soprattutto nelle forme depressive, e la loro capacità di risolvere con una certa prontezza quadri sintomatologici un tempo considerati senza speranza ha portato in alcuni casi a un abuso, soprattutto fino a quando non sono stati disponibili altri mezzi terapeutici, in particolare gli psicofarmaci. La psicofarmacologia si è comunque sviluppata in epoca recente e alcuni autori ritengono anzi che la sua data di nascita debba essere fatta risalire al 1952, anno in cui fu messa a disposizione degli psichiatri la clorpromazina. È chiaro che anche in epoca precedente sono stati usati farmaci per dominare le malattie mentali, ma non in modo sistematico e comunque con una scarsa conoscenza dei meccanismi d'azione delle sostanze usate. Esistono numerosi farmaci, dai più diversi meccanismi d'azione, e un loro uso ragionato ha portato a mutare favorevolmente le prospettive prognostiche di molte forme. A fianco delle terapie di shock e farmacologiche (dette anche terapie somatiche o fisiche) si sono precisate nelle modalità di intervento e nelle indicazioni le cosiddette psicoterapie, di cui la più importante rimane senz'altro quella psicanalitica.

Cenni storici: l'antipsichiatria

Con il tempo si è anche affermata una concezione della psichiatria, detta antipsichiatria (il cui principale rappresentante in Italia è stato F. Basaglia) che, pur non negando le cause organiche della malattia mentale, pone l'accento sulla componente sociale, che ne peggiorerebbe la prognosi e che influenzerebbe anche l'efficacia delle terapie. Questa impostazione è fortemente critica nei confronti dell'emarginazione cui è sottoposto il malato mentale nelle istituzioni psichiatriche. In Italia questo movimento ha portato alla realizzazione dei cosidetti “ospedali aperti” in cui si è tentato il recupero dei pazienti senza isolarli dal contesto sociale e familiare. In seguito, la legge 13 maggio 1980, n. 180 ha decretato la chiusura dei manicomi e la realizzazione di strutture alternative al ricovero, miranti più alla cura e al recupero dei pazienti psichiatrici che al loro internamento. In questa ottica sono stati istituiti i Dipartimenti di Salute Mentale, strutture territoriali con compiti di prevenzione, cura e riabilitazione. Tuttavia in molte regioni le strutture alternative al ricovero manicomiale (case famiglia, comunità terapeutiche, centri diurni, ecc.) previste dalla legge non sono state pienamente realizzate. Laddove ciò è avvenuto, come nella zona di Trieste, la prognosi dei malati è migliorata, anche grazie alla disponibilità di terapie farmacologiche più efficaci e gravate da minori effetti collaterali. Nelle zone carenti, invece, la situazione dei malati può diventare molto critica e gravare eccessivamente sulle famiglie, private dell'assistenza prevista dalla legge stessa.

Cenni storici: le cause organiche del disturbo mentale

Dopo il periodo di accesi confronti scientifici e culturali degli anni Sessanta, la psichiatria ha attraversato un periodo di ricomposizione, di sviluppo di studi, e di applicazioni cliniche. Da allora la ricerca segue due orientamenti teorici, in base ai quali la psichiatria conduce l'intervento e il trattamento dei disturbi e dei disordini mentali. Il primo orientamento è quello genetico-biologico, e gli sforzi sono diretti a determinare le cause del disturbo mentale a livello organico. La patologia viene considerata di origine genetica, cioè con una base ereditaria, o acquisita, e quindi dovuta a disfunzioni di tipo biochimico e neurofisiologico. Il secondo orientamento è quello psicologico-sociale e basa il suo operato sulla considerazione del disturbo determinato a livello psicologico, insorto durante il primo sviluppo psichico o nella vita adulta per fattori ambientali e sociali. Secondo l'orientamento genetico-biologico lo studio dei fattori genetici, cioè l'ereditarietà, costituisce un'importante linea di ricerca che viene realizzata con metodi epidemiologici, con l'osservazione dei gemelli mono- e dizigoti e con quella dei bambini adottati. È importante distinguere il concetto di modello genetico (ovvero determinato da alterazioni ddei geni acquisite anche dopo la nascita) dal modello puramente ereditario che segue le leggi dell'ereditarietà mendeliana: il modello genetico della schizofrenia per esempio rappresenta ancora un'ipotesi, in quanto gli studi sembrano confermare un rischio del 7% per i figli con un genitore schizofrenico, rispetto all'1% dei figli di genitori senza episodi di malattia. Nel caso della psicosi maniaco-depressiva l'incidenza sembra essere del 15-20 % per i familiari di un soggetto affetto da questa patologia, rispetto all'1,5% dei soggetti il cui nucleo familiare non presenta patologia. Numerose sono anche le ricerche biochimiche per individuare il ruolo delle sostanze neurotrasmettitrici a livello cerebrale nei disturbi psichiatrici maggiori. I risultati di alcune ricerche di neurofisiologia cerebrale sulla schizofrenia hanno evidenziato un aumento della quantità di dopamina e un'anomalia nella trasmissione sinaptica. L'ipotesi dopaminergica della schizofrenia sembrerebbe anche accreditata dall'effetto dei neurolettici, che permettono di ridurre alcuni sintomi della patologia schizofrenica e il cui meccanismo di azione consiste nel bloccare i recettori dopaminergici. Uno studio condotto in Giappone ha individuato una variante del gene che inattiva uno dei recettori della dopamina, che sembra più frequente nei pazienti schizofrenici rispetto ai soggetti normali. La serotonina e la noradrenalina sembrano invece implicate, con funzioni diverse, nella comparsa della depressione. Vari studi hanno confermato una diminuzione di questi neurotrasmettitori nelle condizioni depressive, e una scomparsa dei sintomi con somministrazione di farmaci antidepressivi che inibiscono il degrado di questi neurotrasmettitori, e che attivano il re-uptake, cioè il riassorbimento degli stessi da parte dei neuroni.

Cenni storici: fattori di rischio ambientali e sociali

Per quanto riguarda il secondo orientamento teorico, la ricerca è indirizzata all'individuazione dei fattori psicologici e ambientali che sono in grado di determinare l'insorgenza del disturbo psichico. Tra questi, secondo uno studio effettuato in Gran Bretagna, la condizione di disoccupazione sarebbe un fattore importante nel determinare un'elevata possibilità di gravi disturbi mentali, che spesso comportano anche l'ospedalizzazione. È stata invece in gran parte smentita la teoria secondo cui vi sarebbe, nelle famiglie dei soggetti schizofrenici, una relazione ambivalente, in sintonia con la teoria del “doppio legame” di G. Bateson, caratterizzata da un circolo vizioso di comunicazione doppia e antagonista nel significato. Gli studi sull'emotività espressa, dimostrano invece come le famiglie che presentano elevato coinvolgimento e comportamento emozionale, criticismo e sentimenti di ostilità più o meno manifesta nei confronti di un familiare affetto da schizofrenia, costituiscono un fattore sfavorevole per il recupero e la riabilitazione del paziente.

Cenni storici: il trattamento psichiatrico moderno

Il trattamento psichiatrico moderno riprende le conoscenze che derivano dalle ricerche e dalla pratica clinica, e oltre alla terapia farmacologica specifica, vi è sempre più la tendenza ad associare anche un intervento di psicoterapia. Gli sviluppi della psicofarmacologia sono stati notevoli, e hanno permesso di mettere a punto classi di farmaci come i tranquillanti maggiori (neurolettici o antipsicotici), i tranquillanti minori (ansiolitici) e gli antidepressivi (psicoanalettici), che consentono una terapia farmacologica sempre più specifica, e con minori effetti secondari e tossici per l'organismo. La psicoterapia in ambito psichiatrico, può essere individuale, di gruppo, o centrata sulla famiglia. Quella psicodinamica, oltre al supporto della terapia farmacologica, associa la psicoterapia secondo il metodo psicoanalitico; le “terapie espressive” o di “sostegno” sono utili al paziente per sviluppare nuove abilità psicologiche e risolvere così i conflitti e il disagio psichico personale. La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha lo scopo di individuare gli eventi e le relazioni stressanti per il soggetto. L'obiettivo è ridurre la disabilità, incrementando le social skills e le strategie cognitive. La psicoterapia della famiglia è un importante tipo di terapia e può essere eseguita secondo diverse modalità e in base al tipo di disturbo psichico del paziente. In genere viene utilizzata per patologie quali l'anoressia o la schizofrenia, nelle quali il nucleo familiare ha un ruolo importante nella dinamica e nel mantenimento del disturbo. Tra le forme più importanti possiamo citare la terapia della famiglia, che segue il modello di Bateson, la terapia del sistema familiare, che segue le indicazioni di M. Bowen e quella psicoeducativa, che segue il modello della emotività espressa e sembra fornire risultati incoraggianti nei giovani soggetti psicotici. § La sociologia si occupa di malattie mentali sotto diversi aspetti. Anzitutto cerca di individuare la relazione tra queste e il tipo di società in cui si verificano; in particolare mette a confronto e analizza il rapporto tra natura, gravità, frequenza delle malattie mentali e alcune componenti sociali significative come la disuguaglianza sociale, la dinamica economica, i modelli culturali prevalenti. Altro campo d'indagine sociologica è l'organizzazione sociale che ruota intorno al trattamento istituzionale delle malattie mentali, e quindi lo studio della professione psichiatrica e dei luoghi di cura come sistemi sociali. Infine, la sociologia si occupa anche dei comportamenti della collettività verso le malattie mentali, cioè degli atteggiamenti assunti verso i tipi sociali del folle, dello psicotico, del nevrotico ecc., nonché del mondo in cui questi vengono rappresentati dai mezzi di comunicazione di massa.

M. Schneck, A History of Psychiatry, New York, 1960; G. Zilboorg, G. W. Henry, A History of Medical Psychology, New York, 1962; S. Arieti, Manuale di psichiatria, Torino, 1970; R. J. Arthur, Introduzione alla psichiatria sociale, Bologna, 1973; L. Binswanger, La psichiatria come scienza dell'uomo, Firenze, 1992.

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