paraplegìa

sf. [sec. XVIII; dal greco paraplēgíē, paralisi parziale]. Termine usato per indicare la paralisi degli arti inferiori e, a volte, anche quella degli arti superiori. La paraplegia può essere di origine centrale, per lesione encefalica (lobulo paracentrale bilaterale) o midollare; o di origine periferica, per lesione del motoneurone midollare (poliomielite acuta), o delle radici e dei nervi (poliradicoliti o poliradicoloneuropatie). Nel primo caso si manifesta in forma spastica, associata cioè a un aumento del tono muscolare e dei riflessi tendinei con comparsa dei riflessi patologici; nel secondo caso si tratta sempre di paraplegia flaccida, accompagnata da diminuzione del tono muscolare e perdita dei riflessi profondi. La paraplegia si può manifestare in caso di arterite luetica midollare, leucemia mieloide cronica, spondilite tubercolare, meningite cerebro-spinale epidermica, tromboflebiti dei seni endocranici e aneurismi encefalici, tumori cerebrali ecc. La paraplegia apoplettiforme è la manifestazione clinica più frequente della sifilide spinale (forma dorsale della meningomielite sifilitica), così chiamata per l'improvvisa e rapida insorgenza.

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