natura mòrta
loc. impropria (traduzione del secentesco termine olandese stil-leven, natura immota) con cui si usa indicare la pittura di genere che raffigura fiori, frutta, oggetti di uso quotidiano. Sviluppatasi come genere autonomo solo nel Seicento, tale raffigurazione è già presente, come elemento decorativo, nella pittura antica. L'arte funeraria egizia, infatti, rappresentava già con abbondanza di particolari gli oggetti familiari o necessari al defunto; figurazioni analoghe sono nell'arte etrusca e, più raramente, in quella greca. Le composizioni di frutta e generi commestibili sembrano risalire all'età ellenistica. La pittura pompeiana ed ercolanese è ricca di quadri di natura morta in cui sono compresi anche i vasi con fiori. Dipinti con tali soggetti ricorrono anche nel repertorio decorativo delle catacombe. La natura morta ricompare poi nella pittura trecentesca (specialmente nelle miniature di ambiente franco-fiammingo) quale particolare narrativo e insieme preziosamente decorativo. Nel Quattrocento la rappresentazione di oggetti, caricati di significati simbolici, costituì un elemento fondamentale della figurazione fiamminga, che ambientò nel “quotidiano” gli episodi religiosi. Il primo Rinascimento italiano, ideologicamente teso all'assoluto classico, generalmente escluse la ricerca naturalistica che non fosse applicata alla figura umana, e la svolta stilistica si ebbe solo dopo le prime conoscenze dell'arte fiamminga (Antonello da Messina, Ghirlandaio, Carpaccio). Gli antecedenti diretti della natura morta nel Cinquecento vanno ricercati sia nel genere della vanitas vanitatum, che nel contrapporre bellezza a simboli di morte segue il canone controriformistico della funzione mistico-emotiva della pittura, sia nei quadri illustrativi di flora, fauna e mineralogia diretti a studiosi e amatori. Nelle Fiandre furono assai diffusi anche i quadri religiosi con l'episodio relegato sullo sfondo e in primo piano mostre di oggetti, frutta, ecc. (Aertsen, Beuckelaer), e le raffigurazioni allegoriche delle stagioni; in Italia ebbe fortuna il genere delle pollivendole, pescivendole, macellerie, ecc. (Campi). Come già accennato, la natura morta come soggetto autonomo di un quadro si affermò soltanto nel Seicento, all'inizio con significati allegorici (ormai indecifrabili), verso la fine del secolo come pura decorazione d'interni, specializzandosi come gli altri tipi di pittura di genere. I centri maggiori si ebbero nelle Fiandre, in Olanda, in Spagna e in Italia, ma i viaggi frequenti degli artisti e i loro rapporti personali crearono una vasta e ricca rete di interdipendenze stilistiche. In generale, comunque, nelle Fiandre prevalse la natura morta caratterizzata dalla magniloquenza barocca di influenza rubensiana, esuberante nei colori e nelle forme (Snyders, Fyt); in Olanda la composizione sobria di pochi oggetti, caratterizzata dal luminismo sottile che esalta le trasparenze e le preziosità del colore (Claesz, Heda, Kalf); in Spagna prevalse il gusto intellettuale per le armonie geometriche, con pochi oggetti allineati su fondi neri e illuminati da chiarori metafisici (Cotán, Zurbarán, Velázquez). Di fronte all'arte ufficiale e accademica, che ostentava disprezzo per il genere minore, la natura morta divenne spesso occasione di pittura pura, come fu con tutta probabilità per Caravaggio, che determinò gran parte della pittura di natura morta a Roma e fuori. In Italia gli altri due centri importanti, oltre a Roma, furono la Lombardia, dove dalle influenze dei fioranti fiamminghi agli inizi del secolo (Fede Galizia) si giunse al grande momento di Baschenis; e Napoli, dove dalle prime esperienze di influsso spagnolo e caravaggesco si giunse al più lussureggiante barocco (Porpora, i Recco, i Ruoppolo). Nel Settecento il genere continuò stancamente sui moduli ormai codificati, a opera di autori di mediocre livello artigianale, con l'eccezione però di pezzi stupendi di grandi artisti (G. M. Crespi, Chardin, Guardi, Goya). La pittura moderna poi, da Delacroix a Cézanne, da Manet a Morandi e a Picasso, ha assunto spesso la natura morta come “pretesto formale” per giungere alla più libera e pura espressione pittorica, al di fuori di ogni significato contingente.