melanina

sf. [sec. XIX; da melano-+-ina]. Pigmento bruno contenuto in speciali cellule tegumentarie (melanociti) dell'uomo e di altri mammiferi. Le melanine si trovano pure nell'uvea e nelle meningi degli animali superiori e nei melanofori esistenti in molti invertebrati e vertebrati; sono inoltre i componenti principali del pigmento nero secreto dalle ghiandole di alcuni molluschi (per esempio nero di seppia). Le melanine sono aggregati amorfi o granulari costituiti da miscele di polimeri del 5,6-indol-chinone e di enzimi in una complessa matrice proteica. Differiscono una dall'altra in base al grado di polimerizzazione e ossidazione. Sono sintetizzate nei melanociti a partire dagli amminoacidi tiroisina e fenil-alanina, sotto il controllo dell'intermedina, ormone ipofisario che favorisce la polimerizzazione di alcuni precursori indolici incolori o scarsamente colorati. Nell'uomo anche la corticotropina ha una modesta azione melanocito-stimolante. Alterazioni patologiche dell'ipofisi e della corteccia surrenale possono provocare l'aumento o la diminuzione della sintesi delle melanine, con caratteristici effetti sulla pigmentazione cutanea (melanodermia). Nel corso di alcune malattie, per esempio nei tumori melanotici, si ha la comparsa di melanina nelle urine (melanuria). L'assenza di melanina, diffusa o limitata ai melanociti di alcune regioni del corpo, è caratteristica dell'albinismo e delle forme di depigmentazione della pelle. Si conoscono sostanze naturali e sintetiche capaci, in presenza di luce, di attivare i processi di biosintesi delle melanine; tra queste sostanze vi sono il triossalene e il metossalene, adoperati in campo cosmetico come abbronzanti e in medicina per combattere alcuni disturbi della pigmentazione cutanea (per esempio vitiligine). Esistono, per contro, sostanze che interferiscono nella biosintesi delle melanine (monobenzone, idrochinone), le quali vengono adoperate per ridurre la pigmentazione cutanea in alcuni casi di melanodermia.