vitilìgine
sf. [sec. XVII; dal latino vitilīgo-ínis]. Discromia cutanea, caratterizzata da una depigmentazione a chiazze con margini netti, di varie forme e dimensioni, circondate da un alone iperpigmentato, in genere simmetriche, con sede elettiva nelle parti scoperte. La vitiligine è una malattia idiopatica di cui non si conoscono le cause, anche se si ipotizza una trasmissione familiare attraverso gli antigeni di istocompatibilità e un'eziologia autoimmune; spesso si riscontra un'associazione con altre patologie, quali anemia perniciosa, morbo di Addison, diabete, ipertiroidismo, specie nelle donne. Nella vitiligine si ha una totale distruzione dei melanociti nelle aree interessate, per cui l'esposizione al sole non solo non determina la normale iperpigmentazione ma anzi crea fastidio e bruciore e può provocare ustione. La terapia della vitiligine ha obiettivi estetici, che possono essere raggiunti, con successo variabile, mediante la fotochemioterapia. Nei casi limitati può essere utile la semplice applicazione di farmaci corticosteroidei. In alcuni casi, in presenza di malattia stabilizzata da almeno 2 anni, è possibile considerare la possibilità di eseguire un autotrapianto di lembi di cute. Un altro possibile approccio alla vitiligine è il camouflage, cioè la copertura delle chiazze con prodotti cosmetici.