mancipatio
sf. latino. Atto solenne di trasferimento della proprietà di (fondi italici, schiavi, animali, servitù rustiche), cui non potevano essere apposti termini o condizioni e che poteva essere compiuto soltanto da cittadini romani; nel caso di donne o minori, era necessaria l'auctoritas del tutore. Nella sua forma originaria essa consisteva nello scambio di cosa contro una certa quantità di metallo non coniato che veniva pesato dal libripens alla presenza di cinque testimoni. Con la comparsa della moneta, la pesatura divenne un gesto meramente simbolico. Il compimento dell'atto faceva sorgere nell'alienante l'obbligo di garantire l'acquirente per l'eventualità di evizione. Tale obbligo aveva durata limitata: fino al compimento dei termini per l'usucapione (1 o 2 anni), che sanava eventuali vizi dell'atto di acquisto. In caso di evizione, l'acquirente, mediante l'actio auctoritatis, poteva ottenere, in primo luogo, l'assistenza dell'alienante nel giudizio intentato dal terzo e, realizzatasi ai suoi danni l'evizione, il pagamento del doppio del prezzo versato. Oltre che per il trasferimento di proprietà, a titolo sia gratuito sia oneroso, la mancipatio venne impiegata per l'acquisto o il trasferimento di potestas su persone (adoptio, emancipatio, coemptio), per disporre del proprio patrimonio inter vivos, prima (mancipatio familiae), mortis causa poi (testamentum per aes et libram). Solitamente e fin da epoca antica, veniva redatto un documento, con valore probatorio, che attestava l'avvenuto compimento dell'atto. La mancipatio cadde in disuso nel corso del basso Impero e non appare più menzionata nella compilazione giustinianea.