inibizióne
sf. [sec. XIV; dal latino inhibitío-ōnis]. Atto ed effetto dell'inibire; proibizione, divieto. In psicologia, in senso generale, processo che diminuisce o ritarda, o impedisce un'eccitazione. Il termine viene comunque usato con una molteplicità di significati: A) nella teoria dell'apprendimento, si parla di inibizione quando un apprendimento influisce negativamente su un altro apprendimento. Si distingue un'inibizione proattiva (l'effetto di un apprendimento precedente su uno successivo) da una retroattiva (l'effetto di un nuovo apprendimento su uno precedente). B) Nell'usuale terminologia clinica, si intende per inibizione la coartazione di qualche comportamento dovuta a motivi interni all'individuo. C) In psicanalisi, il termine è impiegato per indicare il processo attraverso il quale il Super-Io dell'individuo impedisce alle pulsioni istintuali di giungere alla coscienza. D) Nella percezione, con inibizione laterale s'intende quel fenomeno per cui l'eccitazione di alcuni recettori retinici in una zona circoscritta della retina provoca la contemporanea inibizione dei recettori che circondano tale zona. Tale fenomeno viene invocato per interpretare alcuni effetti percettivi, quali il contrasto simultaneo, e in particolare, sulla base soprattutto degli studi dello psicologo americano L. Ganz, i figural effects. E) In etologia, blocco di un comportamento dovuto all'insorgenza di uno stimolo interno o esterno. Per esempio, le esibizioni di sottomissione e di acquietamento e i segnali contenuti nelle fattezze e nel comportamento dei giovani provocano sovente l'inibizione dell'aggressione, adattamento di ovvia importanza per la sopravvivenza individuale e delle specie e per il mantenimento della coesione dei diversi gruppi sociali. Se due comportamenti, attivati contemporaneamente, provocano inibizione reciproca, l'individuo si viene a trovare in uno stato di conflitto, che può sfociare in una attività di sostituzione.