fenilchetonùria
sf. [fenil-+chetonuria]. Malattia metabolica ereditaria (detta anche oligofrenia fenilpiruvica), trasmessa come carattere autosomico recessivo, caratterizzata da deficienza mentale, tremori, accentuazione dei riflessi, colore di pelle, capelli e occhi più chiaro rispetto agli altri membri della famiglia, ritardo dello sviluppo somatico. Trae origine da un difetto del sistema enzimatico epatico deputato alla trasformazione ossidativa della fenilalanina in tirosina. Pertanto forti quantità di fenilalanina non metabolizzata e di alcuni suoi derivati (acidi fenilacetico, fenillattico, fenilpiruvico) si accumulano nei tessuti, raggiungendo elevate concentrazioni nel sangue, nelle urine e nel liquido cefalorachidiano. In particolare l'accumulo di queste sostanze nel cervello provoca atrofia e alterazioni tossiche e degenerative di alcune strutture del sistema nervoso centrale. La diagnosi precoce si basa sulla determinazione dei livelli plasmatici di fenilalanina. Il trattamento della fenilchetonuria richiede un rigoroso controllo della quantità di fenilalanina assunta con gli alimenti: un eccesso di fenilalanina aggrava infatti la sintomatologia, mentre l'assunzione di quantità troppo piccole compromette ulteriormente l'accrescimento corporeo, essendo la fenilalanina indispensabile per la sintesi proteica. Il trattamento deve essere iniziato durante i primi giorni di vita per prevenire il danno neurologico, un trattamento iniziato più tardi può controllare l'iperattività e le convulsioni. La prognosi è buona quoad vitam, ma è sfavorevole per lo sviluppo intellettivo se il trattamento non è precoce. L'introduzione dell'aminoacido non è sicura neppure dopo il completamento dello sviluppo intellettivo: può infatti danneggiare la struttura cerebrale favorendo la comparsa di epilessie e decadimenti cognitivi. Un'interruzione della dieta controllata era ritenuta sicura una volta completato lo sviluppo intellettivo, ma oggi si è dimostrato che l'introduzione dell'aminoacido anche dopo tale periodo danneggia la struttura cerebrale favorendo la comparsa di epilessie e di decadimenti cognitivi. La speranza per i malati risiede ora nella terapia genica, ovvero nella possibilità di inserire nell'organismo il gene che produce l'enzima carente.