conciliazióne
sf. [sec. XIV; dal latino conciliatío-ōnis, riunione, conciliazione]. Atto ed effetto del conciliare e del conciliarsi; accordo, pacificazione: “tentava conciliazione e mediazioni forse impossibili” (Montale). Per antonomasia, la conciliazione, composizione del dissidio fra Stato italiano e papato (iniziato dopo l'occupazione dei territori dello Stato pontifico, 1859-60 e 1870) realizzatasi l'11 febbraio 1929 con la stipulazione dei Patti Lateranensi. § Nel diritto internazionale, uno dei mezzi di soluzione di controversie, espressamente previsti da numerosi trattati e da compiersi mediante apposite commissioni. Assai spesso il procedimento di conciliazione è obbligatorio, essendo tenute le parti a esperirlo prima di passare ad altre iniziative. Normalmente il lavoro delle commissioni di conciliazione si conclude con una proposta idonea a costituire la base di un accordo. Una certa importanza ha, per la funzione di conciliazione., l'attività del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, previsto per quelle controversie che possano mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali; le sue decisioni non vanno però oltre il valore della raccomandazione. § In sede di contenzioso civile, la conciliazione pone termine alla lite e produce l'estinzione del processo. La legge italiana, quando la natura della causa lo consente, fa obbligo al giudice istruttore di compiere un tentativo di conciliazione delle parti disponendo, quando occorra, la loro comparizione personale. Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in un qualsiasi momento dell'istruzione. Quando le parti si siano riconciliate, si forma un processo verbale della convenzione conclusa, che costituisce titolo esecutivo. In sede non contenziosa, la parte che voglia raggiungere la conciliazione di una vertenza può fare istanza, anche verbale, al giudice di pace del territorio dove risiede e anche in tal caso, quando la conciliazione riesca, il relativo processo verbale costituisce titolo esecutivo.