caràttere (tipografia)
Indicepiccolo parallelepipedo in legno o in lega recante su una delle estremità il segno grafico inciso per la stampa. Anche il segno impresso. Può essere usato anche con significato collettivo per indicare il complesso dei caratteri scelti per la composizione di un testo a stampa, disegnati secondo un particolare stile.
Carattere. Composizione a mano di caratteri mobili.
De Agostini Picture Library/G. Cigolini
Storia
Secondo la tradizione i primi caratteri da stampa mobili furono realizzati in terracotta dal fabbro cinese Pi Shêng, tra il 1041 e il 1049; in Europa compaiono intorno alla metà del sec. XV, realizzati prima in legno e poi in lega metallica da J. Gutenberg. In origine il disegno del carattere stampato non si distingueva da quello manoscritto, ma ben presto assunse forme autonome, più coerenti con la tecnica di stampa; il numero di segni, detti anche tipi, si ridusse notevolmente (dei politipi e abbreviazioni restarono soltanto ff, fi, ffi, ffl). Il carattere tondo venne inciso per la prima volta a Strasburgo nel 1464 e perfezionato da N. Jenson a Venezia nel 1470. Dalla scrittura umanistica corsiva e da quella cancelleresca papale derivarono i corsivi. La prima fu adattata da Francesco Griffi(o Griffo, noto anche come Francesco da Bologna) verso il 1500 per Aldo Manuzio; la seconda dal calligrafo Ludovico degli Arrighi e da Antonio Blado verso il 1520. Cl. Garamond fu il primo a dedicarsi esclusivamente al disegno, all'incisione e alla fusione dei caratteri; Christoffel van Dyck (1601-1669) disegnò invece i caratteri elzeviriani, così chiamati perché ricorrenti nelle edizioni degli Elzevier, la celebre famiglia olandese di tipografi-editori. I primi caratteri da stampa inglesi furono incisi da W. Caslon e furono molto apprezzati fino alla comparsa dei tipi disegnati da J. Baskerville, molto leggibili e di gradevole aspetto, che influenzarono i tipografi posteriori sino a Bodoni. G. B. Bodoni ideò, incise e fuse numerosissime serie di caratteri, dallo stile inconfondibile, quasi monumentale, coerente con il periodo storico in cui nacquero. Il carattere gotico, divenuto tipico della sola Germania fino al sec. XIX, conobbe nuova fortuna col romanticismo. W. Morris, che partecipò al movimento preraffaellita come tipografo ed editore, ridisegnò, goticizzandoli, i caratteri di Jenson. Per reazione a questo gusto, alcuni grafici, guidati da S. Morison, realizzarono, ispirandosi ai grandi tipografi rinascimentali, versioni moderne di caratteri classici, fino al bellissimo Times New Roman fatto incidere dal quotidiano londinese The Times nel 1931, in occasione di un suo rinnovamento impaginativo. Tra i caratteri moderni, i più noti e diffusi sono i lineari o bastoni, quali il Gill Sans disegnato da E. Gill, l'Univers di A. Frutiger, l'Helvetica di M. Miedinger, il Forma della Società Nebiolo di Torino e il Permanent di F. Simoncini e K. Hoefer.
Il carattere mobile
Il carattere mobile, proprio della composizione in piombo e detto anche tipo, è il parallelepipedo, generalmente in metallo (più raramente in legno o materiale plastico), "Vedi disegno vol. V, pag. 417" recante in rilievo e rovesciata la sagoma di una lettera o di un segno stampabile tipograficamente . "Per il carattere tipografico mobile vedi disegno al lemma del 5° volume." Nel carattere si distinguono: l'occhio, cioè la parte stampante, che porta il disegno della lettera; la spalla, superficie orizzontale superiore su cui poggia l'occhio; il piede, superficie inferiore parallela alla spalla; la tacca, scanalatura posta generalmente sulla faccia anteriore del carattere per indicare, nella composizione a mano, il suo giusto orientamento. Le dimensioni del carattere sono definite dall'altezza, dalla forza di corpo e dall'avvicinamento. L'altezza è la distanza fra l'occhio e il piede; la forza di corpo o corpo è la distanza fra la faccia anteriore e quella posteriore del fusto ed è ortogonale rispetto all'avvicinamento o larghezza, che è invece la distanza fra il limite esterno di sinistra e il corrispondente di destra di ciascun carattere (la i ha un avvicinamento molto ridotto, la m grande). L'altezza del carattere tipografico vale, in Italia, 62 2/3 punti Didot pari a 23,567 mm (norma UNI). I corpi (espressi in punti Didot) dei caratteri in dotazione alle tipografie variano dal 4 al 144; i caratteri di corpo superiore al 72 si usano solo per grandi titoli nei giornali e in manifesti e sono generalmente in legno. Di ogni carattere si possono avere, nei vari corpi, il tondo, il corsivo e il neretto o grassetto. Ciascuno di questi può essere maiuscolo, minuscolo e maiuscoletto (uguale al maiuscolo ma più piccolo) "Vedi tabella vol. V, pag. 417" . "Per alcuni esempi di composizione tipografica vedi tabella al lemma del 5° volume." Dal punto di vista tecnologico, si distinguono i caratteri di fonderia (detti anche a mano o di cassa) da quelli fusi in macchine compofonditrici meccaniche e da quelli per la fotocomposizione realizzati con procedimenti particolari su dischi portamatrici, riproducendo fotograficamente ciascun segno. Il carattere di fonderia è fuso in lega di piombo (61,3%), stagno (10%) e antimonio (28%) con aggiunta di rame (0,7%); la norma UNI 5006 definisce anche la composizione delle leghe per la monotype (Pb 78%, Sn 6%, Sb 16%; fusione a 239-275 ºC, durezza 22) e per la linotype (Pb 85%, Sn 3%, Sb 12%; fusione a 239-246 ºC, durezza 17, oppure Pb 83%, Sn 5%, Sb 12%, fusione a 239-242 ºC, durezza 17).
Classificazioni
Dal Manuel Typographique (1764-66) di P.-S. Fournier, al Manuale tipografico (1818) di Bodoni, alla classificazione di F. Thibaudeau, alle proposte di J. Tschichold, M. Vox, A. Novarese, alla norma DIN 16 518 del 1964, migliaia di caratteri sono stati classificati secondo criteri stilistici, storici, morfologici, creando in molti casi una terminologia propria, facendo sì riferimento alla conformazione dell'occhio del carattere, ma senza un criterio univoco. La classificazione morfologico-decimale di G. Pellitteri "Per la tabella di classificazione vedi il lemma del 5° volume." "Vedi tabella vol. V, pag. 418" fa invece riferimento esclusivamente alla forma dei caratteri e li classifica in dieci gruppi, ciascuno con sottogruppi: 0, lineari (senza terminali: sono i caratteri bastoni, grotteschi, ecc.); 1, rettiformi (con terminali rettangolari: gli egiziani); 2, angoliformi (con terminali angolari: i caratteri lapidari); 3, curviformi (ad andamento sinuoso: Jenson, Garamond, Bembo, Elzevir); 4, digradanti (con affusolature come il Baskerville o il Caslon o il Times New Roman, cioè i caratteri romani); 5, contrastati (con terminali sottili e uniformi: Bodoni); 6, scritti, manuali, estemporanei (grafie, intagli, improvvisazioni); 7, fratti (gotici e simili); 8, fregiformi; 9, fantasie, ibridi, aberrazioni.