Lessico

sm. [sec. XIX; da cannibale]. L'uso di mangiare carne umana; antropofagia. Fig., comportamento da cannibale, barbara ferocia. In particolare: A) in medicina, inglobamento di una cellula normale da parte di una cellula maligna (fagocitosi). B) In veterinaria, fenomeno che spinge gli uccelli a beccarsi tra loro strappandosi le penne (plumofagia) e spesso la pelle e la carne. Il fenomeno si presenta nel periodo che va dalla terza alla sesta settimana di vita, e può comparire dalla dodicesima settimana all'inizio della deposizione delle uova. I fattori che contribuiscono al cannibalismo sono di natura alimentare quando l'alimentazione è carente di fattori essenziali come metionina, arginina, manganese, zinco, ecc., oppure ambientali a causa della eccessiva intensità della luce o della temperatura, o del sovraffollamento. La prevenzione si può ottenere, oltre che naturalmente eliminando gli scompensi alimentari e ambientali, anche, soprattutto per i soggetti più aggressivi, con il sistema del debeccaggio, che consiste nella asportazione di un terzo della mandibola o della mascella con un'apposita lama a cauterio.

Etnologia

Il cannibalismo è una pratica rituale e non va certamente inteso come un modo di cibarsi che non faccia alcuna distinzione tra carne umana e carne di animali. Accade per il cannibalismo ciò che si riscontra nel caso di altri cibi carnei: ogni cultura distingue e sceglie a suo modo, e dunque soggettivamente, tra animali mangiabili e animali immangiabili. Per esempio, fra i popoli di cultura occidentale non si mangia il cane, che invece costituisce un buon cibo per i Cinesi e altri orientali, e si mangia, d'altra parte, la carne bovina, che invece gli Indiani rifiutano. Diremo dunque che laddove la carne umana è considerata un cibo prelibato, il cannibalismo riflette una particolare considerazione dell'uomo rispetto agli altri esseri viventi: lo si ritiene provvisto di qualità superiori, delle quali ci si può appropriare mangiando le sue carni. Appunto questa è l'idea magico-religiosa che sta alla base dei riti cannibalistici: il desiderio di acquisire quelle particolari qualità che nessun animale possiede, all'infuori dell'uomo. È come se si dicesse: gli animali saziano il corpo, ma l'uomo sazia anche lo spirito. Talvolta queste qualità essenziali o “spirituali” vengono concentrate su una parte del corpo umano e allora oggetto della pratica antropofaga è soltanto quella parte che si presume contenere l'essenza umana. Conosciamo, infatti, un cannibalismo limitato al cervello, al cuore, al fegato, o persino alla mano, rispettivamente sentiti dalle diverse culture come sedi dell'essenza umana. Dalla stessa idea di base del cannibalismo derivano il sacrificio umano, la caccia alle teste e il mascalismo. Il cannibalismo fin qui illustrato viene detto esocannibalismo (cioè cannibalismo all'esterno del gruppo), in quanto le vittime vengono catturate per mezzo di atti di guerra contro altre tribù; si tratta insomma di nemici. Ma può aversi anche un cannibalismo all'interno del gruppo (endocannibalismo), in cui le persone mangiate sono addirittura parenti. Quando qualcuno muore, presso certi popoli, i parenti sono tenuti a mangiarne il cadavere (cannibalismo funerario); a volte la morte può essere anticipata su decisione del parentado nella convinzione che il soggetto, debilitato da malattia o da vecchiaia, non abbia probabilità di sopravvivere. Qualche autore considera endocannibalismo l'usanza di mangiare i condannati a morte all'interno di tribù (cannibalismo giudiziario). D'altra parte il condannato, proprio in quanto tale, non è più un membro del gruppo, ma è diventato un suo “nemico” e quindi l'ingerimento delle sue carni può corrispondere al trattamento riservato ai nemici. L'endocannibalismo si giustifica esattamente come l'esocannibalismo, con l'idea che le carni umane possiedano qualità essenziali: con l'esocannibalismo si consegue l'arricchimento di tali qualità, mentre il fine dell'endocannibalismo è di non permettere che il gruppo consanguineo le perda con la morte di un suo membro. L'ideologia endocannibalistica si prolunga, esattamente come quella esocannibalistica, nella conservazione delle teste-trofei e di altre reliquie dei cadaveri. Si tratta, in tal caso, delle teste e delle reliquie dei propri morti che vengono solitamente conservate e alle quali si tributa un culto (come, del resto, accade spesso anche per le teste e altre reliquie dei nemici uccisi). Il cannibalismo, combattuto dovunque dalla cultura europea, è pressoché scomparso. Ne restano tracce in Oceania e in Africa, dove sporadicamente si hanno insorgenze cannibalistiche per lo più in culti praticati segretamente. Sopravvive inoltre presso certe tribù dell'America Meridionale.

Patologie da cannibalismo

In conseguenza di questo costume si è rilevata, fra gli indigeni Fore nella Nuova Guinea, una tipica encefalopatia degenerativa da virus lento ad andamento cronico (con decadimento psichico, tremori, alterazione della parola) con esito letale piuttosto rapido ma ad insorgenza tardiva. La malattia si è riscontrata anche nelle scimmie che consumano i resti umani della tribù. All'autopsia, anche di individui caduti preda del male benché allontanatisi dal luogo di origine, si rileva una degenerazione spugnosa del cervello e cervelletto con placche di amiloide.

Etologia

Il cannibalismo ha una certa diffusione fra gli animali ed è soprattutto tipico dei giovani nei confronti reciproci (adelfofagia), degli adulti nei confronti dei maschi. Dove non è occasionale, il cannibalismo è primariamente legato alla regolazione delle popolazioni e alla conservazione del nutrimento. Esso si riscontra particolarmente fra gli Insetti sociali, fra gli Imenotteri sociali, e specialmente fra le formiche combattenti (Eciton). Anche fra i Vertebrati ha luogo il cannibalismo fra adulti. Le iene, per esempio, possono uccidere i loro simili durante le lotte fra gruppi estranei e normalmente ne mangiano i cadaveri. È noto che in alcune specie (per esempio Roditori, Felidi, Primati), quando un maschio adulto penetra in un gruppo estraneo uccide e spesso divora i piccoli di una o più femmine. Poiché la perdita dei figli determina nelle femmine l'immediata insorgenza dell'estro, se i maschi ottengono di accoppiarsi con esse aumentano il proprio successo riproduttivo a scapito di quello dei padri i cui figli hanno ucciso. Il cannibalismo della mantide religiosa ha un significato adattativo diverso. Non tutte le mantidi mangiano il partner, ma molto frequentemente lo decapitano durante l'accoppiamento. Questo sembra disinibire i movimenti di accoppiamento del maschio e quindi rende l'accoppiamento più efficiente. Consumare parte o tutto il corpo del partner, comunque, procura alla femmina una quantità di nutrimento che può essere devoluto allo sviluppo delle uova. Anche nelle libellule sono noti casi di cannibalismo fra le larve, se il nutrimento è scarso, e della femmina ai danni del maschio. Nel primo caso il cannibalismo permette che almeno alcune larve arrivino alla metamorfosi, e quindi ovvia al rischio che la popolazione si estingua, nel secondo è dovuto probabilmente al mancato riconoscimento del maschio come individuo della propria specie e quindi è occasionale e apparentemente non adattativo. Cannibalismo intra-uterino, fenomeno noto in alcuni pescicani vivipari, in cui gli embrioni, già ben conformati nel ventre materno, si nutrono gli uni a spese degli altri.

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