alessandrismo

sm. [dal nome di Alessandro d'Afrodisia]. Indirizzo filosofico, ispirato all'interpretazione che Alessandro d'Afrodisiadava del pensiero di Aristotele: Dio, in quanto atto puro, è trascendente e s'identifica con l'intelletto agente; nel mondo invece agisce un principio a esso immanente, causa del suo divenire; unica realtà concreta sono gli individui e di conseguenza gli universali non hanno valore alcuno; l'anima umana è corruttibile. Questi principi danno all'interpretazione di Alessandro d'Afrodisia un valore sostanzialmente naturalistico e come tali non suscitarono l'interesse dei pensatori arabi, per cui anche i filosofi medievali dell'Occidente conobbero l'alessandrismo solo attraverso le critiche degli arabi, specialmente di Averroè. Larga risonanza trovò invece l'alessandrismo fra i pensatori del nostro Rinascimento per la convergenza sui valori naturalistici e dell'immanenza, come pure per l'ammissione della trascendenza di Dio, che per i pensatori rinascimentali, non completamente svincolati dal pensiero medievale, aveva ancora un certo peso. Occasione all'espandersi dell'alessandrismo in Italia fu la pubblicazione nel 1492 del De intellectu di Agostino Nifo (un'interpretazione in chiave averroistica del De anima di Aristotele) e del De anima di Alessandro d'Afrodisia, tradotto da Gerolamo Donato (1495). Ne nacque una controversia clamorosa, che coinvolse immediatamente i maggiori centri dell'aristotelismo, Bologna e Padova, e che vide come attori principali Caetano e Pietro Pomponazzi. Strenuo difensore dell'interpretazione tomistica di Aristotele al sorgere della disputa, Caetano ammise più tardi (1509) che Aristotele non riesce a dimostrare l'immortalità dell'anima. Era un'affermazione che dava ragione ad Alessandro d'Afrodisia e il V Concilio lateranense (1512) intervenne, ma senza successo, per porre fine alla disputa, temendo implicazioni con i problemi teologici e morali. A queste conseguenze infatti porta il De immortalitate animae (1516) di Pietro Pomponazzi, che riesuma quasi integralmente l'interpretazione di Alessandro d'Afrodisia: l'intelletto agente è unico, spirituale, immortale, separato completamente dalla realtà umana; l'intelletto passivo (cioè dell'uomo) è corporeo e simpliciter mortalis, perciò la vita umana si esprime tutta nel mondo naturale e la sua moralità consiste nell'esercizio della virtù come premio a se stessa; poiché l'immortalità dell'anima non è provabile per mezzo della ragione, diventa oggetto di un atto di fede. Sono i principi che stanno alla base dell'umanesimo rinascimentale e che porteranno a una sempre più decisa affermazione di un monismo immanentistico, dal quale scomparirà ogni ombra di trascendenza.

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