Pentatèuco
(greco Pentáteuchos, da pénte, cinque+têuchos, astuccio per papiri), i primi cinque libri dell'Antico Testamento: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri eDeuteronomio, considerati dalla tradizione ebraica come parte normativa dell'Antico Testamento. La tradizione che li vuole opera di Mosè risale al sec. II a. C. ed è generalmente accettata all'epoca del Nuovo Testamento e della letteratura rabbinica più antica; la prima data sicura è dell'inizio del sec. II a. C.: Ecclesiastico 24, 22-23. Essa è stata contestata da alcuni antichi polemisti anticristiani quali Porfirio e Celso; nel Medioevo è stata accolta con scetticismo da alcuni autori ebraici; all'epoca della Riforma e della Controriforma venne messa in dubbio da autori come Karlstadt e Simon. Nel Pentateuco non esiste nessuna attribuzione dell'opera a Mosè e i libri profetici, pur facendo spesso riferimento al Pentateuco, non menzionano Mosè che una sola volta: Michea 6,4. L'attribuzione a Mosè viene smentita anche dal fatto che il Pentateuco contiene passi ed espressioni che non possono essere di Mosè: l'ultimo capitolo del Deuteronomio, nel quale viene narrata la sua morte; la frequenza dell'espressione “fino al giorno d'oggi” che presuppone un autore posteriore a Mosè; la menzione dei Cananei come abitanti del Paese in epoca remota (Genesi 12,6 e 13,7); la denominazione “Paese degli Ebrei” per Canaan (Genesi 40,15); la menzione di un re in Israele in Genesi 36,31; il costante riferimento ai territori situati lungo la riva orientale del Giordano come territori dell'altra riva, espressione possibile solo a chi abitava a ovest della riva occidentale del fiume, mentre si sa che Mosè non vi giunse mai. Vi è infine una serie di passi paralleli o contraddittori che escludono un autore o un redattore unico. È quindi logico concludere che, mentre il Pentateuco stesso e altri libri antichi dell'Antico Testamento non danno alcun elemento in favore dell'attribuzione a Mosè, parecchi fattori inducono a considerare una tale attribuzione incompatibile coi dati a nostra disposizione. A questi risultati è giunta la critica del sec. XVIII, che ha praticamente demolito l'attribuzione del Pentateuco a Mosè. Nel sec. XIX, poi, la critica biblica è giunta a stabilire con chiarezza il fatto che la composizione del Pentateuco risulta dall'accostamento e dalla fusione di diverse fonti scritte: la Yahwista (indicata con la sigla Y), così detta perché designa Dio col nome di Yahwèh anche prima di Esodo 6; la Elohista (sigla E), che chiama Dio col nome Elohim; la Deuteronomista (sigla D), che si identifica sostanzialmente con il libro del Deuteronomio; la Sacerdotale (sigla P), cui si ascrive anche il lavoro di redazione finale del Pentateuco: queste fonti si dispongono cronologicamente tra il sec. X e il VI a. C. La determinazione dell'origine delle fonti stesse, che presentano un carattere letterario complesso e articolato, ha costituito un ulteriore passo della critica biblica, a partire dalla fine del sec. XIX: dallo studio dei generi letterari è stato possibile non solo identificare i diversi materiali presenti in ciascuna fonte, ma altresì giungere alla consapevolezza del fatto che antiche tradizioni orali costituiscono il nucleo originario dei documenti scritti. Secondo una fondata ipotesi, le tradizioni orali sarebbero state raccolte e organizzate secondo lo schema delle arcaiche confessioni di fede israelitiche nei nuclei delle fonti più antiche, dai quali, per aggiunte e successive redazioni, si sarebbe sviluppato il Pentateuco nella sua forma attuale.