Ejzenštejn, Sergej Michajlovič

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(S. M. Eisenstein), cineasta sovietico (Riga 1898-Mosca 1948). Il cinema rivoluzionario gli deve il primo classico, La corazzata Potëmkin (1925); il cinema mondiale lo annovera tra gli autori di maggior forza innovatrice. Accostatosi alla rivoluzione come altri intellettuali borghesi, sperimentò al Proletkult, quale scenografo e regista di teatro, forme espressive eccentriche e dinamiche. Sciopero (1925) fu l'opera prima che ruppe con tutte le consuetudini dello schermo, applicando il “montaggio delle attrazioni” in funzione ideologica e di classe, elevando l'uomo-massa a eroe della storia, ponendo creativamente la cinepresa al suo servizio. Il Potëmkin è il capolavoro irripetibile di tale metodo, che stringendo epicamente l'anello tra due rivoluzioni (quella fallita del 1905 e quella vittoriosa del 1917) esercitò ovunque un influsso enorme proprio per il suo timbro di attualità permanente e non celebrativa. Alla prima celebrazione ufficiale dell'Ottobre, infatti, il regista rispose con il film omonimo (Ottobre, 1927), che è tutto una tensione e una esplosione di forme, di materiale plastico, di sintesi metaforiche; già rimaneggiato in URSS per motivi politici (vennero fra l'altro eliminati i personaggi di Trotzkij e Zinovev), il film ebbe poi una versione anglo-americana, diversa da quella sovietica, intitolata I dieci giorni che sconvolsero il mondo. Affrontando l'attualità sul problema della terra nella Linea generale ovvero Il vecchio e il nuovo (1927-29), Ejzenštejn si scontrò per la prima volta con la burocrazia di partito, che lo spingeva a piegare al didascalismo il suo cinema “intellettuale”. Né, all'estero, gli ostacoli caddero: spintosi, dopo un viaggio europeo, fino a Hollywood con l'assistente G. Aleksandrov e l'operatore E. Tissé, tentò invano di varare più di un progetto, e soltanto in Messico l'avventura sembrò riuscirgli; ma non poté mai montare personalmente i materiali ivi girati per ¡Que viva Mexico! (1931-32) che, parzialmente montati da altri (Lampi sul Messico, 1933; Time in the Sun, 1940) e interamente recuperati dall'URSS solo nel 1973, influirono sulla nascita del cinema messicano e rimasero un capolavoro incompiuto e la tragedia della sua vita. Rientrato in patria, Ejzenštejn si dedicò all'insegnamento e alla teoria (i suoi saggi e le sue lezioni rappresentano una monumentale miniera di intuizioni e di pensiero), mentre trionfava la tendenza unica del “realismo socialista”, in nome del quale fu posto sotto accusa al convegno dei cineasti del 1935 per il “formalismo” e l'“astrazione” dei suoi ultimi film e gli fu impedito di portare a termine Il prato di Bežin (1935-37), ispirato al racconto di Turgenev, che rimase allo stadio di frammenti statici, ordinati negli anni Sessanta in breve antologia. Con Alessandro Nevskij (1938), invece, egli riguadagnò interamente la fiducia ufficiale, meritandosi il premio Lenin: il suo affresco storico, magistralmente contrappuntato dalla musica di Prokofev, è una “sinfonia in bianco maggiore” (Sadoul) che rientra nelle biografie dei “grandi russi” allora in auge e, nel descrivere il dramma della Russia minacciata dall'invasione teutonica, si fa interprete dell'allarme per l'imminente attacco tedesco. Egualmente fu elogiata e premiata la prima parte di una progettata trilogia, Ivan il Terribile (1943-44); la seconda (La congiura dei Boiardi, 1944-45), in cui il regista affrontò sperimentalmente e parzialmente anche il colore, cadde sotto la condanna del Comitato centrale del Partito comunista e non fu mostrata che nel 1958, dieci anni dopo la morte dell'autore, che non aveva potuto concludere nemmeno il terzo episodio. Gli storici hanno visto nel dittico rimasto un'impressionante testimonianza, magari anche inconscia, dell'ambivalenza di Stalin: costruttore dello Stato e, insieme, “terribile” autocrate.

Bibliografia

V. Nizhny, Lessons with Eisenstein, Londra, 1962; M. Morandini, La corazzata Potëmkin, Padova, 1969; A. Grasso, Il sistema Eisenstein, in “Bianco e Nero”, 1-2, Roma, 1973; T. Ranieri, Lampi su Eisenstein, Modena, 1973; G. Rondolino, Casa Ejzenštein, Torino, 1990.

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