Ariòsto, Ludovico
IndiceBiografia
Poeta italiano (Reggio nell'Emilia 1474-Ferrara 1533). Primo dei dieci figli di Niccolò (discendente da nobile famiglia bolognese trapiantata a Ferrara) e di Daria Malaguzzi (di nobiltà reggiana) nacque a Reggio nell'Emilia, dove il padre, al servizio di Ercole I d'Este, era comandante della guarnigione; pochi anni dopo fece ritorno, con la famiglia, a Ferrara, da cui s'allontanò raramente. Dopo cinque anni (1489-94) dedicati, controvoglia, agli studi di legge, l'Ariosto cominciò a frequentare i corsi dell'umanista Gregorio da Spoleto. Alla morte del padre (1500), Ludovico si trovò sulle spalle la responsabilità della numerosa famiglia. Al servizio di Ercole I, fece qualche prova nella carriera militare (1501-03: capitano della Rocca di Canossa); poi passò al seguito del cardinale Ippolito d'Este. Anni abbastanza tranquilli per il poeta, che compose per il teatro ducale due commedie in prosa, la Cassaria e i Suppositi, e iniziò il Furioso. Ma presto la situazione del Ducato, restio alla soggezione allo Stato della Chiesa, divenne, in seguito alle vicende provocate dalla Lega di Cambrai, delicata sul piano militare e diplomatico; e su quest'ultimo fu richiesta l'opera dell'Ariosto, inviato spesso come messaggero presso Giulio II: la risolutezza del poeta è indicata dal fatto che il papa giunse a minacciarlo di morte. L'Ariosto infine accompagnò Alfonso, che dopo la vittoria dei Francesi e dei Ferraresi sulle truppe papali (Ravenna, 1512) cercava di rappacificarsi col pontefice, in un suo viaggio a Roma, conclusosi avventurosamente con un travestimento e una fuga. Prospettive di pace si aprirono alla morte di Giulio II; ed essendo stato fatto papa, col nome di Leone X, Giovanni de' Medici (1513), il poeta, che aveva con lui rapporti amichevoli, accorse a Roma con la speranza di qualche incombenza più tranquilla e brillante, ma rimase deluso. Nel viaggio di ritorno l'Ariosto conobbe a Firenze Alessandra Benucci, moglie di Tito Strozzi: fu l'unico amore della sua vita. Egli sposò assai tardi (forse nel 1528) la donna, rimasta vedova nel 1505; ma segretamente, per non farle perdere l'usufrutto dell'eredità lasciatale dal marito; non ne ebbe figli (Giovambattista e il prediletto Virginio furono il frutto di precedenti, umili amori dell'Ariosto). Quando, nel 1517, il cardinale Ippolito partì per l'Ungheria, l'Ariosto, che già aveva avuto dei dissapori con lui, si rifiutò di seguirlo, e passò l'anno successivo al servizio del duca Alfonso: sistemazione più tranquilla, che non metteva a rischio la sua salute precaria e che gli permetteva di attendere, circondato dagli affetti familiari, alla rielaborazione dell'Orlando furioso (la prima edizione era uscita nel 1516), che ripubblicò, corretto, nel 1521. Nel 1520 l'Ariosto aveva inviato a papa Leone X, che gliel'aveva richiesta, la commedia Il negromante; mentre quella intitolata I studenti, anch'essa di quegli anni, rimase incompiuta (fu conclusa dal fratello Gabriele con il titolo La scolastica). Con il 1522 iniziò per l'Ariosto un nuovo periodo movimentato: alla richiesta di un incarico redditizio, il duca Alfonso lo inviò commissario nella Garfagnana, da poco tornata, in seguito a una rivolta, sotto il dominio di Ferrara. Il poeta vi rimase sino al 1525, impegnandosi nell'organizzazione amministrativa della regione, nella soluzione delle liti tra i vecchi feudatari, nella repressione del banditismo con energia e umanità documentate dalle Lettere. Dopo il 1525, finalmente a Ferrara, l'Ariosto poté attendere con più calma al lavoro letterario: rifacimento in versi della Cassaria e dei Suppositi, composizione della Lena (1528), ultimo e più ampio rimaneggiamento dell'Orlando furioso (1532). Morì il 6 luglio 1533, nella “parva domus” acquistata sei anni prima in contrada Mirasole.
Ludovico Ariosto. Il poeta in un frontespizio del 1538.
Milano, Ambrosiana
Ludovico Ariosto. Frontespizio di un esemplare pergamanaceo dell'Orlando Furioso , con stemma del cardinale Ippolito d'Este (Roma, Biblioteca Vaticana).
Roma,Biblioteca Vaticana
Opere minori
Un quaderno autografo, con correzioni e rifacimenti, conserva buona parte delle liriche latine dell'Ariosto, che risalgono per lo più alla giovinezza del poeta (ca. 1494-1504). Alcune sono poco più che esercizi scolastici; ma in altre la tecnica è matura e appaiono già atteggiamenti e invenzioni degni del maggiore Ariosto. Se la musa latina fu presto abbandonata dal poeta, la lirica volgare fu da lui coltivata molto più a lungo (1493-ca. 1525) e mostra, nella calda sensualità che la pervade, la profonda assimilazione degli erotici latini. Nella Cassaria (rappresentata nel 1508), prima commedia regolare italiana, e nei Suppositi (rappresentata nel 1509) l'Ariosto ricorre al procedimento classico della contaminatio: personaggi e situazioni dei modelli latini intrecciati in una nuova trama. Le altre commedie dell'Ariosto (Il negromante, Lena, I studenti) presentano trame di tipo più novellistico e riferimenti diretti al mondo contemporaneo. Spicca tra esse la Lena per il complesso personaggio cui l'opera s'intitola e l'ambigua situazione in cui esso si muove. Le sette Satire furono composte in terzine tra il 1517 e il 1525, cioè nel periodo successivo al primo Furioso; esse sono dedicate, a mo' di lettere, a parenti e familiari. Il tono delle Satire è conversativo: modi familiari, anche proverbiali, scherzi amabili, così da ricordare, più che le Satire, le Epistole oraziane; ma, nella sostanza, la satira dell'Ariosto è lontana da quella di Orazio, dettata com'è da un risentimento morale vissuto e sofferto, più che da saggezza edonistica. Non ingannino gli atteggiamenti rinunciatari, le lodi all'abitudinarietà serena e alla sedentarietà meditativa: essi hanno una funzione dialettica (mostrare nel risvolto delle rinunce la ferma volontà dell'Ariosto di tutelare il proprio lavoro di poeta) e una polemica (di fronte alle mille forme dell'arrivismo e dell'ambizione). Sotto la superficie di bonarietà v'è un'energia etica che l'Ariosto, a tempo e luogo, seppe mettere in atto. E ne sono indice le Lettere (oltre 200), così vicine alle Satire per l'atteggiamento in cui si presenta l'Ariosto: non destinate alla stampa, esse sono scritte in occasioni concrete e con linguaggio spoglio ed efficace.
Orlando furioso
Era già assai avanzato nella composizione del 1507; esso giungeva al suo aspetto definitivo nel 1532 (i Cinque canti, pubblicati postumi, attestano, oltre che un certo declino nella vena del poeta, presentimenti di un gusto diverso). Ciò mostra come il poema abbia costituito, prepotentemente, il centro di tutta l'attività creativa dell'Ariosto. Secondo una definizione iniziale, il Furioso doveva essere una specie di complemento all'Orlando innamorato che M. M. Boiardo, colto dalla morte, aveva lasciato incompiuto. Ma diversa è la prospettiva ideologica in cui si poneva per l'Ariosto, rispetto al Pulci e al Boiardo, il mondo cavalleresco: non più paradigma attraente e pur lontano, ma finzione letteraria della quale celebrare i valori ancora attuali (l'eroismo, l'onore, soprattutto l'amore) e attraverso i cui personaggi esaltare la varietà, e spesso la grandezza, dell'azione umana. Così, accettata l'immersione del ciclo carolingio (epico) nell'atmosfera bretone e romanzesca della Tavola Rotonda, continuata l'alternanza tra utilizzazione dei romanzi francesi medievali (tanto apprezzati a Ferrara) e testi classici, l'Ariosto elaborò qualcosa di assolutamente nuovo anche nello stile e nel linguaggio. Complessa, ma calibratissima, la struttura del poema, che da 40 canti fu portato nell'ultima edizione a 46. Fanno da impalcatura le vicende della guerra tra Carlo Magno e Agramante: l'alternarsi dei periodi di tranquillità e di attesa con quelli di guerra guerreggiata governa i movimenti dei personaggi. Questo procedimento strutturale è corroborato dalla presenza, discreta ma ferma, del poeta che con una sottile arte delle transizioni porta il lettore a una superiore contemplazione degli estremi positivi e negativi di un sentimento, dei limiti (tragico e comico, sublime e miserevole) che può di volta in volta raggiungere l'azione umana. Due sono le principali trame che vengono a posarsi, nel modo descritto, sull'impalcatura costituita dalle vicende belliche: esse riguardano Orlando e Ruggiero. Nelle loro avventure (tra le quali sussiste un sottile parallelismo antagonistico) è chiaro l'intento di tracciare esemplarmente la parabola di due personalità morali, attraverso un disegno che porta Ruggiero a consapevolezza del proprio essere e del proprio destino, che riconduce Orlando all'epica grandezza delle sue origini. Anche gli altri personaggi sono coerenti nella loro complessità e il loro disegno, pur idealizzato, non tradisce mai la realtà. Del resto, la fantasia dell'Ariosto non mira a una fuga dalla realtà, bensì alla creazione di un mondo poetico che della realtà ripresenti, in una scala maggiore e con maggior libertà di sperimentazione, le proporzioni. Cogliamo così il rapporto di necessità reciproca tra l'impegno realistico rilevabile nei ritratti individuali, nel panorama degli affetti umani, nella rappresentazione delle azioni e reazioni che li governano e, dall'altra parte, il dilettoso abbandono alle possibilità della favola e dell'evasione fantastica, tra palazzi e isole incantate, tra ippogrifi e viaggi interstellari, tra armi fatate e miracolose invulnerabilità, tra giganti e mostri. È un rapporto ragionato e allusivamente esplicato dall'Ariosto, che attraverso i riferimenti contemporanei e le sottolineature signorilmente moralistiche rileva la verità e l'effettualità dei caratteri e dei sentimenti, mentre con l'ironia o con lo scherzo segna i margini della libera invenzione. L'ironia esercita un richiamo continuo all'equilibrio, non solo scoprendo come tali i voli della fantasia, ma anche attenuando le punte dell'idealizzazione. L'ironia è insomma il segno della saggezza, ma di una saggezza che sa anche il valore dell'illusione e dell'immaginazione. Il gusto figurativo ariostesco tende infatti a trasfigurare, per lo più ricreando la visione secondo il gusto rinascimentale dell'euritmia architettonica e cromatica, ma altrettanto spesso creando: sì da suscitare un mondo poetico fornito di inesauribili possibilità e prospettive. La fantasia costituisce, in conclusione, una delle dimensioni del senso della bellezza proprio dell'Ariosto; e del senso della bellezza mostra il sigillo nella misura che la ispira e la imbriglia. Questa misura si palesa nel sorriso del poeta: un sorriso di avvertimento, perché la realtà della poesia non sia confusa con la realtà della vita. Ma questo sorriso illumina anche il piacere dell'invenzione, esprime l'affetto dell'autore verso un mondo che sarà pur costituito con la materia dei sogni, ma che ha raggiunto la vitalità dell'arte.
B. Croce, Ariosto, Shakespeare, Corneille, Bari, 1920; A. Momigliano, Saggio sull'Orlando Furioso, Bari, 1928; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, Ginevra, 1931; W. Binni, Metodo e poesia di L. Ariosto, Messina, 1947; idem, Storia della critica ariostesca, Lucca, 1951; F. De Sanctis, La poesia cavalleresca e scritti vari, Bari, 1954; R. Ramat, La critica ariostesca, Firenze, 1954; A. Borlenghi, Ariosto, Palermo, 1961; A. Asor Rosa, Storia e antologia della letteratura italiana, vol. VI, Firenze, 1987.