Pulci, Luigi
IndiceBiografia
Poeta italiano (Firenze 1432-Padova 1484). Di famiglia nobile, ma decaduta, cronicamente colpita da dissesti economici (il padre Iacopo era stato messo “a specchio”, cioè nella lista infamante dei debitori insolventi; il fratello Luca morì in prigione per debiti), Luigi svolse una modesta attività nel campo della mercatura, cercando appoggio presso la casa Medici, che cominciò a frequentare attorno al 1461. Divenuto intimo amico di Lorenzo, che, ancora adolescente, trovava nella sua compagnia un piacevole diversivo alle lezioni di Ficino, Pulci fu chiamato più tardi dal Magnifico a ricoprire incarichi di natura diplomatica o commerciale e fu accolto con affettuosa dimestichezza dalla madre di Lorenzo, Lucrezia Tornabuoni, che lo spinse a comporre il Morgante, e dalle altre donne di casa Medici, della quale finì con l'essere considerato il “quinto elemento”. Ma i rapporti tra il poeta e l'ambiente mediceo cominciarono a intiepidirsi in seguito a una tenzone sonettistica con il prete Matteo Franco, degenerata in un'aspra polemica cortigiana, nella quale intervenne autorevolmente Ficino che accusò Pulci di miscredenza: accusa non infondata, tenuto conto dell'interesse vivissimo di Pulci per le scienze occulte e del suo atteggiamento irrisorio nei confronti della religione. Messo ai margini della corte, trascorse l'ultimo decennio della sua vita al servizio di Roberto Sanseverino, capitano dei Fiorentini. Per la fama di empietà, gli toccò la sepoltura senza esequie, a lumi spenti, in terra sconsacrata. La personalità di Pulci si esprime pienamente nelle Lettere, in gran parte indirizzate a Lorenzo, uno dei testi più vivaci della letteratura italiana: “raro esempio di prosa burchiellesca” (A. De Robertis); esse ci consegnano l'immagine di un Pulci che travolge nel suo bizzarro impasto linguistico anche le cose più serie, trasformando ogni situazione in piacevole gioco. Un'ispirazione burchiellesca pervade anche i sonetti caudati contro B. Scala e M. Franco, nei quali spiccano gli imprevedibili accozzi verbali, che sfruttano fino in fondo le risorse del genere burlesco. Non più che una contraffazione parodistica è invece la Beca di Dicomano, in cui al brio della Nencia laurenziana subentra un riso grossolano; irrimediabilmente viziato dall'intento celebrativo è il poemetto encomiastico La giostra di Lorenzo e altrettanto deludente la Novella del picchio senese, irretita nei limiti angusti della satira municipale. Di maggiore interesse, per le anticipazioni di personaggi del Morgante, è la continuazione del Ciriffo Calvaneo, il poema iniziato dal fratello Luca, nel quale Luigi introduce quella simpatia per il mondo canagliesco che farà accostare il suo capolavoro alla letteratura picaresca fiorita in Spagna. In tutte queste opere minori risalta una straordinaria curiosità linguistica, che si esprime anche nei pazienti spogli lessicali del Vocabolista, negli Strambotti, nei sonetti dialettali e nella frottola Le galee per Quaracchi, estroso elenco di articoli di cosmesi femminile.
Il Morgante
Un'eccezionale invenzione linguistica caratterizza appunto il Morgante, che inaugura il nuovo corso della poesia cavalleresca italiana. Iniziato a comporre nel 1461, il poema fu dato alle stampe nel 1478: ai primi 23 cantari furono poi aggiunti, nell'edizione del 1483, altri cinque cantari; il titolo di Morgante maggiore fu voluto dagli editori per distinguere l'opera definitiva dai molti estratti del celebre episodio di Morgante e Margutte che circolavano in gran numero. Il primo Morgante, in 23 cantari, è caratterizzato da un'assoluta indifferenza per la trama, che è un rifacimento dell'Orlando, un anonimo poemetto popolare, e dalla distruzione degli stilemi della tradizione canterina, operata mediante una comicità ammiccante e allusiva. Centro ideale del primo poema è l'incontro tra un gigante tutto fisicità come Morgante e un mezzogigante tutto parole come Margutte; ma complementare è anche la coppia Gano-Carlo Magno (l'astuzia dell'uno si contrappone alla dabbenaggine dell'altro) o anche l'altra coppia Orlando-Rinaldo (la compostezza del primo è in antitesi con l'irruenza del secondo); tutti i personaggi si muovono in uno sfrenato moto centrifugo, che li fa andare dal centro (Parigi) alla periferia (la Pagania). Ben diverso è il secondo Morgante (gli ultimi cinque cantari, desunti in gran parte dall'anonima Spagna in rima), che si dibatte tra la fedeltà alle “domestiche Muse” burchiellesche e la coercizione di un assunto epico non congeniale a Pulci, ma ritenuto da lui necessario per inserirsi nella nuova temperie politico-culturale della corte medicea. Al moto centrifugo si sostituisce ora un moto centripeto, dalla periferia al centro (Roncisvalle), mentre la parte di protagonista è assunta da Rinaldo (la cui avventura alla ricerca di se stesso si trasforma in ulissismo, in ricerca di terre lontane, sull'orma di quelle curiosità geografiche che Paolo del Pozzo Toscanelli aveva stimolato in Pulci), da Gano (non più tipizzazione astratta dell'astuzia ingannatrice, ma concreta figura di diplomatico internamente tormentato dal dubbio) e soprattutto da Astarotte, singolare diavolo, animato da un generoso spirito di tolleranza verso tutte le religioni. Il problema dell'ispirazione fondamentale del Morgante, impostato da De Sanctis, che aveva definito Pulci come “il borghese che si spassa alle spalle della plebe”, fu ripreso da Croce, che inquadrò il poema nella prospettiva della “curiosità onde la colta borghesia fiorentina osservava e rifaceva i costumi e la psicologia della città e del contado”. Ricorrenti sono state in seguito, nella critica, le definizioni di poesia comico-burlesca o parodistica, mentre il riso di Pulci è stato variamente classificato come rozzo e plebeo o come sottile e raffinato; c'è anche chi ha sostituito al concetto di “riso” quelli di “giocondità”, di “serietà” o di “entusiasmo”. Prevale ora negli studi la tendenza a riconoscere in Pulci una nuova coscienza letteraria, volta a saggiare le più diverse forme della realtà e a trasformarle, mediante uno stupefacente impasto lessicale, in un magico caleidoscopio di luci e di colori.
G. Getto, Studio sul Morgante, Como, 1944; G. Mariani, Il Morgante e i cantari trecenteschi, Firenze, 1953; D. De Robertis, Storia del Morgante, Firenze, 1958; R. M. Ruggieri, L'umanesimo cavalleresco italiano, Roma, 1962.