L'esplorazione dei fondali oceanici

La ricerca oceanografica si basa su un insieme di mezzi speciali di esplorazione, tra cui navi oceanografiche, batiscafi e laboratori sommersi, ai quali si sono aggiunti più recentemente i satelliti artificiali.

Le profondità oceaniche vengono studiate soprattutto per mezzo di dragaggi, perforazioni e l'impiego di strumenti quali magnetometri (che misurano l'intensità del campo magnetico terrestre) ed ecoscandagli (che, inviando segnali acustici verso i fondali, consentono di valutarne la profondità in base al tempo impiegato dal segnale a compiere il tragitto di andata e ritorno).

I risultati delle numerose spedizioni oceanografiche condotte negli anni '60 hanno permesso di descrivere in modo dettagliato i fondali, la cui morfologia risulta alquanto varia e movimentata; inoltre, si è potuta rilevare la presenza di lunghe fratture, le dorsali oceaniche, interessate da un elevato flusso di calore endogeno e si sono potuti valutare il debole spessore e l'età relativamente giovane dei sedimenti marini; una circostanza che, tuttavia, si rivelò di fondamentale importanza fu la scoperta del paleomagnetismo e delle inversioni periodiche del campo magnetico terrestre, registrati nelle rocce dei fondali oceanici.

Le misurazioni del campo magnetico compiute in mare aperto hanno evidenziato la presenza di anomalie magnetiche, cioè di piccolissime deviazioni in più (positive) o in meno (negative) rispetto ai valori normali medi dell'intensità del campo magnetico terrestre. Le anomalie positive sono dovute al fatto che in una data zona di crosta, sede di magnetismo fossile, quest'ultimo ha orientazione uguale a quella del campo magnetico attuale e vi si somma; l'opposto accade nelle zone sedi di anomalie magnetiche negative. Le anomalie magnetiche positive e negative sono distribuite alternativamente, secondo fasce lineari e parallele, con simmetria bilaterale rispetto alla dorsale oceanica. Esse rappresenterebbero, dunque, la prova che la crosta oceanica si è formata in tempi diversi e che essa è tanto più antica quanto più ci si allontana dall'asse della dorsale; inoltre, a distanza crescente dalla dorsale si trovano spessori sempre più alti dei sedimenti.

La teoria dell'espansione dei fondali oceanici

I risultati delle ricerche oceanografiche permisero nel 1963 agli scienziati inglesi F.J. Vine e D.H. Matthews, i quali si avvalsero di ipotesi avanzate nel 1960 del geologo americano Harry H. Hess, di formulare la teoria dell'espansione dei fondali oceanici.

Secondo questa teoria, il magma che risale dal mantello in corrispondenza delle dorsali oceaniche, solidificandosi, forma nuova crosta terrestre, che si sposta poi lateralmente sui due fianchi della dorsale, provocando così l'espansione dei fondali oceanici alla velocità di pochi centimetri all'anno.

Di conseguenza, a meno che la crosta terrestre non si stia progressivamente accrescendo (ma non abbiamo dati che lo confermino), la formazione di nuova litosfera terrestre in corrispondenza delle dorsali oceaniche deve essere compensata dalla distruzione (cioè dallo sprofondamento nel mantello) di una quantità paragonabile di litosfera in altri luoghi della superficie terrestre: tale fenomeno avviene, in effetti, in corrispondenza delle zone cosiddette di subduzione (fosse oceaniche).