La pedagogia nell'età ellenistica
Con la fine del IV secolo a.C., che vede la scomparsa quasi contemporanea di Alessandro Magno e di Aristotele, gli studiosi tendono a far coincidere l'inizio dell'età ellenistica, vista per lo più come periodo di decadenza in confronto al periodo di sviluppo politico e artistico culturale delle polis, prima tra tutte Atene.
Ma da altre prospettive questo periodo si può dire caratterizzato da un'estensione del mondo politico e culturale di riferimento, che portò a un'espansione dei mercati, ma anche alla crisi di alcune forme di produzione con manodopera locale. Con la scomparsa di Alessandro venne a mancare l'aggregazione politica necessaria a garantire un livello base di omogeneità in un impero tanto vasto, e di conseguenza le città tornarono a rinchiudersi su sé stesse e a rappresentare forti punti di riferimento a livello amministrativo, commerciale e culturale, pur senza più raggiungere i livelli di importanza dell'epoca delle polis. Anche l'idea di “cittadinanza” che abbiamo visto essere sentita come tanto importante a livello di riconoscimento di benefici e privilegi (tra cui anche l'educazione di livello superiore) cambia aspetto e non coincide più con l'origine geografica o familiare delle persone, ma diventa appannaggio di coloro che sono riconosciuti come utili al governo (funzionari, cambiavalute, professionisti, professori...).
Anche l'educazione cambia sulla scia di questi rivolgimenti sociali. In primo luogo essa viene come confinata nelle scuole, e grande protagonista diventa lo studio della lingua, vista come necessaria in seguito al sempre più frequente contatto con nuove genti, nuove culture, nuovi linguaggi, che portavano all'esigenza di definire o riscoprire una forma di lingua nazionale.
La scuola inizia sempre intorno ai sette anni, mentre l'educazione della prima infanzia resta sempre affidata all'influsso familiare: le famiglie agiate affidavano i loro bambini alla cura di nutrici e bambinaie che si occupavano – versione femminile dei pedagoghi – di curare il primo apprendimento del piccolo. Nelle famiglie che non potevano permettersi questa figura, il ruolo era affidato alla madre o ad altre figure femminili presenti sulla scena famigliare (per lo più nonne o zie). Tipico di questa primissima fase dell'educazione era il suo carattere fortemente individuale: il bambino cresceva e veniva educato da solo, o al massimo, in compagnia di fratelli o cugini. Con il compimento dei sette anni, invece, e l'ingresso a scuola, l'educazione assumeva un carattere di collettività.
All'interno della scuola erano definite due figure principali: il maestro (didáscalos) e l'insegnante di lingua (grammatistés). Il primo si occupava di trasmettere ai bambini un'educazione generica, non gli era richiesto alcun impegno educativo che avesse un qualche influsso sulla personalità degli allievi. Infatti non gli era richiesta alcuna qualifica professionale, e era una figura che godeva di pochissimo prestigio nella società dell'epoca. Ben altro ruolo era quello dell'insegnante di lingua, il quale (spesso intervenendo solo verso la fine del periodo formativo primario, quando cioè i giovani avevano già dodici o tredici anni) si occupava di insegnare la lettura e la scrittura, attraverso metodologie ripetitive e basate per lo più sulla monotona ripetizione vocale di lettere e sillabe.
Le metodologie pedagogiche dell'epoca prevedevano un uso massiccio di punizioni corporee, viste come indispensabili alla formazione del giovane. Del resto questa visione punitiva della formazione era consona con la visione che si aveva dell'infanzia vista come uno stato passeggero da superare per arrivare alla completezza dell'età adulta.
Un'altra figura rilevante per l'educazione del giovane scolaro, che però si posizionava solo ai margini del mondo scolastico formalizzato, era quella del paidagogós: inizialmente era uno schiavo incaricato di accompagnare a scuola il bambino e di andare a riprenderlo al termine delle lezioni, ma poco a poco arrivò ad assumere il ruolo più o meno ufficiale di tutore domestico e supporto alla formazione dei giovani che gli erano affidati, raggiungendo spesso un'autorità nettamente superiore a quella del didáscalos.
Intorno ai quattordici anni, o comunque quando i giovani potevano vantare una solida competenza nel leggere e nello scrivere terminava l'educazione primaria, e si passava a quella secondaria, dominata dalla figura del grammatikós il quale introduceva gli studenti nel mondo della grammatica e dello studio approfondito della lingua, basandosi sulla letteratura classica, costituita per lo più da poesia epica. Spesso questo studio fondamentale veniva integrato con altre discipline viste come complementari, quali musica, recitazione, disegno, calcolo, esercitazioni ginniche.
Più avanti, invece prevarrà l'uso di organizzare le materie in due categorie differenti: quelle riguardanti il campo letterario espressivo (grammatica, retorica, dialettica) quelle riguardanti il campo matematico (geometria, aritmetica, astronomia, teoria della musica).
La ginnastica vista come fondamentale esperienza educativa veniva ancora coltivata, anche se l'efebía in età ellenistica era diventata più che altro un'istituzione essendosi persa la sua valenza militare. La lotta, il pancrazio (tipologia di lotta particolarmente violenta) e la ginnastica (aspetto formativo più generale che comprendeva anche un affinamento della sensibilità estetica) continuavano a essere insegnate, anche se non erano più riservate unicamente ai giovani aristocratici, ma erano più aperte a ogni giovane portato, in quanto si andava introducendo l'aspetto di intrattenimento di massa collegato a questi sport. Così dal punto di vista educativo alla figura dal pedotríba (maestro di ginnastica, ma anche guida spirituale ed esempio di comportamento) si assocerà quella del gymnastés (allenatore sportivo in senso proprio).
Non si può dimenticare che l'atteggiamento del mondo ellenistico verso la cultura era profondamente cambiato rispetto agli anni precedenti. A livello generale era possibile riscontrare un'accesa polemica nei confronti di professori e accademici, opposizione basata sulla nascita di movimenti filosofici come quelli degli epicurei, degli stoici, dei cinici, che si proponevano di insegnare a tutti gli uomini una tecnica per ripiegarsi in sé stessi cercando la pace e l'equilibrio nel proprio intimo. Il saggio non coincideva più quindi con l'uomo colto, ma era l'uomo padrone e consapevole di sé e – altro cambiamento fondamentale - questa nuova conoscenza poteva essere patrimonio comune di tutti.
Questa nuova esigenza trovava le sue radici, a livello sociale, nei cambiamenti dati dal nuovo stile di vita economico-politico. I contesti di riferimento dal punto di vista commerciale, economico, culturale, sono decisamente più vasti e composti, favorendo scambi e incontri. Questo porta da una parte a un accrescimento delle ricchezze nelle mani di famiglie privilegiate, ma dall'altra cambiamenti molto più veloci e imprevedibili che precipitarono molte altre famiglie delle classi medie e inferiori nella costante incertezza.
Altro cambiamento forte derivato da questo allargarsi degli orizzonti politici e commerciali è la scomparsa o quanto meno l'indebolimento del senso di patria, in quanto gli uomini tendevano a sentirsi maggiormente cittadini del mondo che legati a una singola città o uno specifico stato. Conseguenza pratica di questo mutato senso di appartenenza furono da una parte il maggior insistere a livello educativo sull'apprendimento della lingua madre (come si è già visto poco sopra), ma anche – come movimento in direzione opposta – l'introduzione della koinè diálectos, una “lingua comune” derivata da un adattamento del greco classico ai nuovi influssi provenienti da altre popolazioni. Anche il pensiero diventa libero da pregiudizi e classificazioni particolarmente rigide, tanto che, come si è visto, a livello educativo convivono due posizioni fortemente contrarie: da una parte l'istruzione formalizzata (che in questo periodo riscosse enorme successo) dall'altra la nascita di correnti di pensiero antiaccademiche volte a privilegiare un tipo di conoscenza più intimistica e antienciclopedica.