La pedagogia di Platone
Platone (427-347 a.C.) fu di origine aristocratica. L'idea politica ma anche il modello educativo di Platone si possono dire basati sul suo concetto di predestinazione sociale: per il filosofo greco ogni persona è predestinata dalla nascita a compiere una determinata attività, a rivestire un determinato ruolo sociale. Di conseguenza l'educazione e la formazione dei giovani sono in realtà illusioni se pensate come volte a un autentico miglioramento in quanto nel punto di partenza (la nascita) è in realtà già incluso quanto si sarà conseguito al punto di arrivo (la morte).
Sulla base di questa idea della predestinazione sociale, Platone divide la popolazione in tre categorie: quelli plasmati con l'oro (i governanti), quelli plasmati con l'argento (i soldati) e quelli plasmati con metalli “vili” quali il ferro o il rame (gli artigiani e il popolo), questa divisione rispecchia la visione tripartita dell'anima proposta dalla filosofia di Platone. Egli infatti postula che i governanti siano caratterizzati da un'anima di tipo razionale, i soldati di una di tipo irascibile e il resto del popolo di una appetente. Questa suddivisione porta con sé una conseguente divisione dei compiti sociali che vede i governanti impegnati a utilizzare la loro razionalità per ben gestire l'ardimento dei guerrieri e a contenere i desideri (gli appetiti) del popolo, facendo sì che trovassero sfogo nel lavoro volto alla produzione dei mezzi di sostentamento necessari al benessere “materiale” della polis.
Di conseguenza l'educazione in sé è vista come inutile per le classi lavoratrici, alla cui formazione professionale provvedeva la famiglia di origine o la corporazione di appartenenza. Un'educazione di livello superiore avrebbe solo portato i cittadini a non svolgere più il lavoro per il quale erano predestinati, causando disagi a ogni livello sociale.
Ciò non toglie che Platone non neghi che ogni persona abbia in sé non il solo tipo di anima collegato alla propria condizione, ma tutte le tre tipologie che doveva imparare a padroneggiare conservando un buon equilibrio di sé. E come nella vita sociale i più importanti erano i governanti – caratterizzati dall'anima razionale – così l'auriga che comanda i due indisciplinati cavalli dell'ardimento e del desiderio deve essere la ragione. La ragione è di per sé stessa legge e, di conseguenza, le leggi sociali sono un accessorio inutile sia a livello personale che pubblico. La ragione seguirà per via naturale la legge che le è propria se solo le sarà concesso di governare sulle altre due tipologie più indisciplinate di anima.
Nella repubblica ideale di Platone non c'è spazio per l'istituzione famiglia: le unioni sono combinate sulla base di criteri volti a migliorare la stirpe dei governanti e i figli nati da queste unioni non dovevano essere allevati o educati dai genitori. I bambini venivano dunque prelevati immediatamente dopo la nascita dalle famiglie di origine per essere inseriti in asili-nido gestiti dallo Stato. Per i primi due anni di vita essi venivano allattati e allevati da mamme-nutrici; una volta svezzati iniziava la prima fase dell'educazione costituita dall'ascolto della musica e lettura di fiabe (censurate in modo che non potessero far nascere nei bambini rappresentazioni fuorvianti della realtà).
Con i sette anni inizia invece il percorso educativo vero e proprio, la cui prima fase proseguirà fino al compimento dei diciotto anni. In questo periodo i giovani studieranno musica (questa disciplina anticamente faceva riferimento a tutte le arti tradizionalmente collegate alle Muse, per cui musica strumentale, canto, declamazione, poesia) e ginnastica (dove grande spazio veniva lasciato all'addestramento militare con attività quali la scherma, la corsa a piedi o a cavallo, la marcia di resistenza, o il tiro con l'arco e via di seguito). Su esempio, probabilmente, di quanto proposto dal modello di educazione spartano, Platone suggerisce che questo processo educativo non sia appannaggio esclusivo degli uomini ma sia aperto anche alle donne. Riteneva infatti che non ci fosse nessuna ragione logica per escludere la popolazione femminile dal percorso formativo degli uomini. Con l'esclusione forse dei compiti più pesanti una donna poteva assumersi tutte le responsabilità e gli incarichi degli uomini.
La formazione di coloro che si preparavano a diventare filosofi-governanti era però più lunga e complessa, non si fermava infatti raggiunti i diciotto anni, ma prevedeva passi ulteriori per arrivare a formare in maniera completa l'anima e il corpo del futuro filosofo.
Dai diciotto ai venti anni, Platone inserì due anni di formazione militare (l'efebìa) volta a fortificare il corpo e il carattere dei giovani. Molti degli studenti si fermavano a questo livello, diventando soldati, mentre pochi altri proseguivano il loro iter formativo per raggiungere le più alte vette del dominio della ragione. Dai venti ai trent'anni questi giovani eletti si dedicavano allo studio della disciplina formale (concetto introdotto da Platone, secondo il quale per studiare i concetti non legati unicamente alla fisicità ma al mondo delle idee – come, per esempio, la matematica, la fisica, l'astronomia – occorre prescindere dal mondo materiale e studiare i concetti astratti che stanno alla base di tali discipline) dedicandosi prevalentemente allo studio della matematica, intesa come sistemazione razionale del vero. I reduci da un'ulteriore selezione proseguivano gli studi dedicando gli anni tra i trenta i trentacinque allo studio e all'applicazione della dialettica (discussione e contemplazione della verità razionale pura). Seguivano quindi quindici anni circa di tirocinio svolto partecipando più o meno attivamente alla vita sociale della polis. Raggiunta la soglia dei cinquant'anni lo “studente” poteva dire di aver raggiunto la fine del suo cammino formativo e sentirsi pronto ad applicare quanto appreso alla gestione del governo.
È importante ricordare che come base ideologica al suo modello formativo Platone associava l'idea di un'anima immortale e dotata di una sapienza innata che le proviene in parte dalle conoscenze acquisite in vite precedenti, e dall'altra da intuizioni razionali della verità che portano a concepire la conoscenza in sé come “ricordo” della verità ideale scaturito dall'osservazione delle realtà sensibili che partecipano e rimandano a concetti assoluti (per esempio, il percepire una bella melodia mi farà ricordare l'idea assoluta di “bello”). Di conseguenza la scienza non deve avere come scopo lo studio della realtà sensibile (che è solo una copia parziale e deformata degli ideali cui rimanda) ma deve essere orientata allo studio della verità assoluta.