Approfondimenti

Il senso della possibilità

Non c'è alcuna realtà, bensì un gioco di possibilità, un ventaglio di potenzialità eterogenee. Il romanzo è un'“imitazione dell'incompiuto”, in quanto analizza e contribuisce a costituire quest'eterogeneità e quest'apertura. Il romanzo di Musil nasce da tale esigenza di trattare la realtà “come un compito e un'invenzione” e di negare ogni proposizione all'indicativo – ossia ogni asserzione definitiva e assoluta – a favore del congiuntivo, del senso della possibilità. Chi possiede quest'ultimo, nota Musil, “non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere, ma immagina: qui potrebbe o dovrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com'è, egli pensa: be', probabilmente potrebbe esser anche diversa. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è. [...] Questi possibilisti vivono, si potrebbe dire, in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi”.

Il romanzo musiliano al congiuntivo nega ogni principio d'identità, ogni affermazione che una cosa è così com'è: non solo la vecchia logica aristotelica (A = A), ma anche quella dialettica della contraddizione (A è non-A), la quale appare una tecnica analoga, solo più scaltra e totalitaria, di ricondurre il diverso all'Identico, ogni oggetto e ogni predicato al soggetto. Musil si rivolge verso “le non ancor deste intenzioni di Dio”, verso l'estraneo non integrabile – ossia verso forze che non si lasciano più unificare e ordinare, vale a dire oggettivare e reificare da un soggetto legislatore.

[...] Nell'Uomo senza qualità ritroviamo quella molteplicità di soggetti liberi, irrelati e sbandati che ora ci affascina e ci sconvolge, ritroviamo quel proliferare centrifugo delle singolarità che affermano in ogni settore – letterario, ideologico, politico – la loro selvaggia autonomia, la loro diversità riluttante ad ogni gerarchia [...]. “La firma della nostra epoca – scrive genialmente Musil – è un brusio, un ronzio confuso di voci”; in questo rumore di fondo, che impedisce ogni distinzione, la vita contemporanea coincide con la scissione che la disgrega di continuo [...]. L'uomo senza qualità, con la sua infinità rettilinea e spietata che non lascia nulla alle spalle [...] è l'epos che ritrae lo sgretolamento di un millenario ordine di civiltà, mentre ad esempio l'Ulysses di Joyce è l'epos circolare ed edipico, paterno e materno, che ritrova, salva e conserva la continuità di quell'ordine, come l'odissea antica. La fine di quell'ordine non si muta mai in tragedia: questa è assente dal mondo di Musil, anche nei momenti di più alta tensione drammatica e dolorosa, perché anche la tragedia appartiene a quella dimensione dell'individuale e dell'umanesimo che Musil si lascia alle spalle.

Claudio Magris, L'anello di Clarisse, Einaudi, Torino 1984, pp. 216-217, 246-247.