L'età della retorica
- L'età della retorica
- L'eredità culturale dei Greci nel mondo romano
- La nuova cultura: la retorica
- Dionigi di Alicarnasso
- Approfondimenti
- Riepilogando
La nuova cultura: la retorica
Nei primi secoli dell'età imperiale (I- II sec d.C.) la retorica – ossia l'arte di persuadere attraverso il parlare e lo scrivere ricorrendo a norme e tecniche in grado di influenzare il destinatario – si presenta come l'unico baluardo nelle mani dei dotti greci per difendersi dagli attacchi della nascente produzione latina. Come testimoniano la nascita di diverse scuole di retorica e lo sviluppo del movimento della Seconda Sofistica, l'arte retorica diviene un fenomeno di massa e un momento di pura esibizione. L'estrema cura per la forma e l'esigenza di utilizzare una lingua perfetta e intatta nella sua purezza (come insegna l'atticismo) riducono la retorica d'età imperiale ad una declamazione vuota e priva di slancio creativo, espressione di una società conformista, poco dinamica ed esaurita in se stessa. Eppure, in questi secoli, riveste un ruolo così importante da identificarsi con la cultura stessa (il temine retorikè diventa sinonimo di paideía), assoggettando a sé qualsiasi altra disciplina.
Le due scuole dell'arte retorica
Verso la fine del I sec. a.C., prima in Grecia e poi a Roma, si sviluppò un acceso dibattito sull'interpretazione e l'esercizio dell'arte retorica. Due scuole, diverse l'una dall'altra, furono fondate da due tra i più celebri retori del mondo greco, Apollodoro di Pergamo e Teodoro di Gadara.
Apollodoro di Pergamo, attivo ad Apollonia a poi a Roma (dove fu maestro di Ottaviano Augusto), ispirandosi ad Aristotele scrisse un'Arte Retorica andata completamente perduta in cui espresse la sua concezione artistica. In quanto scienza (epistème) piuttosto che arte (tèchne), la retorica deve essere soggetta ad una precettistica rigorosa: dizione semplice e pulita, stile spoglio (per cui questa tendenza si riconosce nell'atticismo), lingua pura (purismo), grammatica regolare (analogismo). Infatti l'opera d'arte – per Apollodoro e tutti i suoi seguaci – non nasce dal talento eccezionale dell'autore (fùsis) ma dall'insieme di norme, rigide e non modificabili, a disposizione di tutti coloro che desiderano apprenderle (tèchne). Il modello a cui si ispirarono gli apollodorei fu lo stile asciutto, attento più ai contenuti che alla forma, dell'oratore Lisia.
Teodoro di Gadara, autore di moltissime opere retorico- grammaticali che non ci sono pervenute, fu per diversi anni il precettore dell'imperatore Tiberio, a Rodi. Diversamente da Apollodoro, sosteneva che la retorica non fosse scienza (epistème) sottoposta a leggi fisse e rigide, ma arte (tèchne), ideale ormai lontano da quello ellenistico e molto più vicino a quello attuale. Teodoro attribuisce molta importanza al sentimento (pathos), alla passione dell'animo e alla psicologia delle emozioni: l'opera d'arte deve nascere direttamente dalla fantasia e dal genio dell'artista (fùsis). Lo stile mosso e discontinuo, su esempio di Demostene e la mancanza di regolarità nell'uso della lingua e della grammatica (anomalismo) avvicinano la scuola teodorea alla corrente dell'asianesimo. Iniziata dal retore Egesia di Magnesia nel sec. III a. C. si imporrà anche a Roma dalla fine del sec. II a. C. grazie all'adesione di Ortensio Ortalo e Cicerone.