La storiografia di Polibio

Il metodo storiografico

Polibio espone a più riprese il suo programma storiografico (soprattutto nei primi due libri e nel XII), confrontandosi, e spesso polemizzando, con i suoi predecessori. All'inizio del I libro scrive: “Il carattere particolare (tò ídion) della nostra opera dipende da quello che è il fatto più straordinario dei nostri tempi: dato che la sorte (Týche) rivolse in un'unica direzione la vicende di quasi tutta la terra abitata e le costrinse tutte a piegarsi a un solo ed unico fine (pròs èn télos), bisogna che lo storico raccolga per i lettori in una grande visione d'insieme il vario operato con cui la fortuna portò a compimento le cose del mondo”. Secondo Polibio, da questo momento, le vicende delle popolazioni affacciate sul Mediterraneo acquistano un carattere unitario ed organico grazie all'azione straordinaria della Týche: ogni storico, per reputarsi tale, dovrà perciò comporre una storia “universale” (definita sempre da lui stesso come “Katholiké historía”), che cioè superi in una visione globale i particolarismi delle vicende dei singoli popoli. L'unico vero storiografo, eccettuato Tucidide che secondo Polibio ha soddisfatto queste esigenze, è stato Eforo di Cuma, il quale, tuttavia, è severamente biasimato per aver inserito nella costruzione storiografica elementi di interesse più vasto, come quelli legati allo studio dei popoli (etnografia) o alla cultura di pochi eruditi (aneddottistica). Contrapponendosi anche ad agli altri storici ellenistici quali Filarco, Duride e Timeo (cui imputa di tradire la funzione autentica della storiografia con le loro preoccupazioni di natura letteraria), Polibio muove da un intento pratico e didascalico e pone la sua opera al servizio di statisti e condottieri ma anche dei semplici uomini comuni.

La “storia pragmatica”

In primo luogo la sua storiografia è “storia pragmatica” (Polibio stesso la definisce come una “pragmatikè historìa”), cioè rigorosamente volta all'accertamento dei fatti obiettivi (prágmata). L'indagine degli eventi politici deve essere suffragata dalla conoscenza delle tecniche militari e degli aspetti geografici e deve essere fondata su un'analisi comprendente, oltre alla critica delle fonti e all'esame delle testimonianze dirette, lo studio dei documenti d'archivio. Nel XII libro, infatti, Polibio scrive che la “storia pragmaticacomprende tre parti, “delle quali una consiste nello studio diligente dei documenti e delle memorie [...], la seconda nelle visite alle città, alle regioni, nell'osservazione diretta delle caratteristiche dei fiumi, dei porti, della natura delle terre e dei mari [...], la terza nella conoscenza della politica”. Di questi elementi, il primo – ossia lo raccolta dei materiali e lo spoglio delle fonti – appare dalle pagine delle Storie di secondaria importanza rispetto agli altri: per chi si voglia seriamente occupare di storia contemporanea senza dubbio è indispensabile interrogare direttamente le fonti o facendo ricorso a spettatori presenti al momento dell'accaduti o, ancor meglio, essendo testimone diretto del fatto. Tuttavia, secondo Polibio, solo un esperto conoscitore della politica e dell'arte militare sa far parlare i documenti. Solo se “uno scritto non è privo di conoscenza diretta [...] risulterà utile al lettore”.