La commedia nuova: Menandro
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Menandro, commediografo del quotidiano
Il maggiore rappresentante della commedia nuova è Menandro, praticamente l'unico autore comico dell'epoca di cui si possiedono dei testi.
La vita e l'opera
Nato ad Atene nel 342 a.C. da famiglia agiata (secondo il Lessico Suda fu nipote per via materna del commediografo Alessi, ma la notizia molto probabilmente è infondata), fu allievo del filosofo peripatetico Teofrasto (l'autore dei Caratteri) e compagno di efebia di Epicuro. Fu anche amico di Demetrio Falereo (il politico che resse Atene, per conto della Macedonia, dal 317 al 307 a.C. ), ma non ebbe alcuna parte nelle vicende politiche della città e predilesse una vita silenziosa e appartata, confortata dall'amore per l'etera Glicera. Da Atene non volle mai allontanarsi, benché fosse stato invitato ad Alessandria, il più prestigioso centro culturale dell'epoca, dal re d'Egitto Tolomeo Soter. Morì nel 291 a.C. , secondo una tradizione, nuotando nelle acque del Pireo.
Gli antichi conoscevano 108 commedie di Menandro, della maggior parte delle quali si possiedono i titoli. Esse andarono completamente perdute tra i secc. VII-VIII d.C.. La conoscenza del poeta è affidata a un migliaio di citazioni presenti in autori antichi (ma scarsamente significative, perché riportate per interessi prevalentemente grammaticali), oltre che a una raccolta di 800 sentenze di un solo verso (Gnómai monostíchoi), per altro non tutte attribuibili al commediografo. Rinvenimenti papiracei della seconda metà dell'Ottocento e poi soprattutto del Novecento hanno restituito sezioni di una ventina di commedie.
Si possiede una sola opera intera, Il misantropo (Dúskolos), l'unica di cui si conosce con sicurezza l'anno in cui venne rappresentata: il 317. Le altre commedie di cui si hanno sezioni più o meno estese sono: La ragazza tosata (Perikeirómene) del 314 circa; La donna di Samo (Samía); L'uomo di Sicione (Sikiónos); L'odiato (Misoúmenos); Lo scudo (Aspís) e L'arbitrato o I contendenti (Epitrépontes); di quest'ultima, che appare la più felice tra le opere pervenute, restano all'incirca 800 versi. Tra i frammenti di minore estensione: Il doppio ingannatore; Il contadino; L'adulatore e L'apparizione.
La drammaturgia di Menandro
Rispetto alla commedia antica, Menandro introduce alcune novità nella scansione della rappresentazione teatrale. Innanzitutto fissa l'attenzione sul prologo in cui vuole siano raccontati sia l'antefatto sia la conclusione della commedia per consentire agli spettatori di concentrarsi non sulla trama ma su come questa viene rappresentata. Per Menandro modello indiscusso è Euripide.
Poi riduce la struttura della commedia alla successione dei cinque episodi o atti intervallati dal Choroù mèros (la “parte del coro”), ossia un semplice intermezzo musicale, completamente scollegato dal dramma inscenato e privo di ogni finalità etico-educativa. Nella commedia di Menandro quindi non figurano le parti corali della parabasi e dell'agone, caratteristiche della commedia antica.
Quanto alla trama, per quanto si può dedurre dai testi rimasti, il commediografo predilige intrecci complessi, giocati sulla sorpresa di repentini cambiamenti di situazione, ricchi di meccanismi stereotipi come esposizioni di neonati, riconoscimenti improvvisi, rapimenti. Proprio tipico della Commedia Nuova è il riconoscimento, già molto usato in Euripide: la rivelazione di un inaspettato legame di parentela è risolutivo per sciogliere situazioni complicate e non risolvibili dall'agire umano. Eredità sempre euripidea, specie dell'ultima fase della sua produzione tragica , è l'ampio intervento riservato all'imprevedibilità della týche (la sorte, il caso), che, dopo aver rovesciato capricciosamente situazioni e destini, li ricompone nella necessità del lieto fine.
Temi, personaggi, lingua e stile
La commedia di Menandro tratta vicende private, si direbbe perfino “borghesi”, focalizzate sulla tematica dell'amore che prevede la ripetizione di un identico schema (proprio anche del genere romanzesco): due innamorati, separati da un ostacolo iniziale, dopo un tempo di distacco in cui devono affrontare difficoltà e svariate peripezie, riescono a coronare il loro sentimento oppure a ripristinare la felicità del momento iniziale, che per un equivoco o un errore era stata turbata. Non è però nella trama che vanno ricercate le ragioni del successo di Menandro, dato che il valore della sua commedia risiede principalmente nell'ineguagliabile capacità di costruire “caratteri”.
Già gli antichi avevano messo in evidenza il realismo dell'opera menandrea definendo il suo autore “imitatore della vita” (Aristofane di Bisanzio, nel II sec a.C., lasciò la famosa definizione “O vita, o Menandro, chi di voi ha imitato l'altro?”) e questa definizione può essere accettata, se si intenda la sua “imitazione” non tanto come specchio della vita reale quanto come creazione di personaggi dotati di credibilità psicologica e sentimentale. Essi sono definiti con profonda cordialità umana ed esprimono i loro reciproci rapporti in un clima d'indulgenza e di generosità. I conflitti tra gli individui si ricompongono non solo perché la sorte ha portato a una soluzione positiva, ma perché la comprensione umana ha saputo smussare le difficoltà e chiarire i malintesi. Le crisi matrimoniali si risolvono, i conflitti tra padri e figli si appianano perché, al di là delle intemperanze e delle passioni, c'è, nel cuore dell'uomo, un fondo naturale di bontà. Da questo sguardo positivo sulla natura umana parte l'interpretazione ottimistica di Menandro sulla realtà: l'uomo è capace di correggere i propri difetti e di migliorare sé e gli altri (come dice lui stesso in un suo verso: “Che cosa bella è l'uomo purché sappia comportarsi come uomo?”).
Lo stile di Menandro, a prima vista semplice e disteso, è invece di controllata eleganza e studiata ricercatezza. Adotta costantemente uno stile medio, uniforme e vicino alla parlata della parte più colta del suo pubblico e si astiene dagli estremismi linguistici, sia quelli dello stile sublime della tragedia, sia, specialmente, quelli del registro colloquiale e spesso scurrile ed osceno della commedia antica. Il metro è il trimetro giambico e la lingua è il dialetto attico del tempo (IV sec. a.C.) che preannuncia il costituirsi della koinè diàlektos (la “lingua comune”) di età ellenistica.
La fortuna
Assai più di Aristofane (il cui mondo poetico era troppo originale e troppo legato all'Atene contemporanea, per avere imitatori ed eredi), Menandro ha creato motivi, situazioni e personaggi che sono divenuti archetipi per tutto il teatro comico successivo: basti pensare a temi come quello della gelosia, dell'amicizia o del contrasto generazionale oppure a personaggi come quello del misantropo o dell'avaro. Tuttavia l'influenza menandrea sul teatro successivo si esercitò indirettamente, per il tramite della commedia latina di Plauto e di Terenzio: essi utilizzarono Menandro, con la libertà loro concessa dalla particolare configurazione del teatro comico latino, che prendeva esplicitamente a modello i testi greci, operandone liberi rifacimenti. Dopo l'eclissi nel mondo medievale, che si confrontò con forme di comicità diverse, spesso derivate dalla cultura popolare, la commedia classica fornì spunti, tipi e strutture al teatro comico del Rinascimento sia nella letteratura italiana (da Ariosto a Machiavelli) sia in quella europea.