Il teatro dell'assurdo
- Introduzione
- La coscienza dell'assurdo
- Eugène Ionesco
- Samuel Beckett
- Jean Genet
- Riepilogando
Eugène Ionesco
Eugène Ionesco (1912-1994), di padre romeno e madre francese, trascorse l'infanzia in Francia e, divorziatisi i genitori (1925), tornò in Romania con il padre. Giunse a Parigi nel 1938 grazie a una borsa di studio e vi risiedette fino alla morte. La sua prima opera, La cantatrice chauve (La cantatrice calva, 1950), è da considerare il capolavoro e una sorta di manifesto del teatro dell'assurdo. Seguirono Jacques ou la soumission (Giacomo o la sottomissione, 1950) e La leçon (La lezione, 1951). Protagonista è il linguaggio, di cui emerge la crescente insensatezza. In un'atmosfera grottesca, i personaggi pronunciano dialoghi incoerenti e banali, in cui si accumulano i luoghi comuni in un crescendo che giunge al parossismo del non senso puro, sino a far apparire l'inquietante assenza della realtà, il nulla, rivelando l'angoscia metafisica che sottende la comicità. Nelle successive Les chaises (Le sedie, 1952), Victimes du devoir (Vittime del dovere, 1953), Amédée ou comment s'en débarrasser (Amedeo o come sbarazzarsene, 1954) il dosaggio di grottesco e drammatico dà origine a una dimensione tragica e la farsa acquista contenuti esplicitamente metafisici.
L'uomo e la collettività
Con Tueur sans gages (Sicario senza paga, 1957) e Le rhinocéros (Il rinoceronte, 1959) Ionesco rappresenta il potere disumanizzante delle ideologie. Nel 1962 pubblicò il dramma Le roi se meurt (Il re muore): solo di fronte alla morte, l'individuo affronta lo scandalo senza rimedio della condizione umana, destinata all'annientamento. Seguono: La soif et la faim (La sete e la fame, 1966), Macbett (1972), L'homme aux valises (L'uomo con le valigie, 1975), Voyage chez les morts (Viaggio nel paese dei morti, 1981). Il tragico e il beffardo sono strettamente intrecciati nel teatro di Ionesco: un tragico che si esprime attraverso uno humour aspro e amaro, ma anche protesta di un uomo asservito a un mondo estraneo e ostile, intrappolato nelle atroci banalità di un linguaggio senza senso.