Il governo economico dell'impresa

Molti autori, nell'individuare il soggetto economico dell'impresa, pongono l'accento, più che sulla proprietà del capitale, sulla "persona o il gruppo di persone che di fatto esercita il supremo potere nell'azienda" (P. Onida, Economia d'azienda, 1965). Il soggetto economico deriva tale potere da condizioni riguardanti la proprietà del "capitale proprio", ma non necessariamente coincide con il titolare dell'azienda.

Occorre precisare che il soggetto economico non coincide con il governo economico, ossia con il soggetto che ha il compito di decidere, dirigere, dar vita all'impresa ed estinguerla. Il soggetto economico, necessariamente unitario nei fini ultimi, è però costituito da un gran numero di persone portatrici di interessi distinti. Unitario anche nel meccanismo di elaborazione e di assunzione delle decisioni deve essere invece il governo economico. Non è dunque possibile che tutti i componenti del soggetto economico partecipino insieme al governo dell'impresa. Di qui sorgono delicati problemi di rappresentanza che costituiscono un aspetto importante della corporate governance.

 

L'imprenditore

Nelle imprese piccole e medie di carattere familiare il governo economico si riassume nella figura dell'imprenditore. Il termine "imprenditore" ha tuttavia un uso più ampio sia nel linguaggio comune sia in quello della dottrina economica (vedi oltre), dove indica sinteticamente il soggetto personale o collettivo che esercita il governo dell'impresa.

Per il codice civile (art. 2082) è imprenditore colui che "esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione oppure dello scambio di beni o di servizi". Questa definizione è stata utilizzata dal cod. civ. nel 1942 per sostituire il termine di commerciante, adottato dal codice commerciale italiano del 1882.

Nell'ambito della categoria generale dell'imprenditore il codice civile distingue la figura imprenditoriale in imprenditore commerciale, agricolo e piccolo imprenditore, al fine di sottoporre a una particolare disciplina fiscalista l'imprenditore commerciale; quest'ultima figura corrisponde sostanzialmente alla definizione tradizionale di commerciante. L'art. 2195 cod. civ. definisce le attività commerciali come quelle attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi, le attività di intermediazione nella circolazione dei beni, le attività di trasporto, le attività bancarie, assicurative, e tutte quelle attività ausiliarie a quelle definite. Chi esercita professionalmente una di queste attività viene assoggettato alla disciplina commercialistica prevista per l'imprenditore commerciale.

 

Il governo economico nelle piccole imprese

Il piccolo imprenditore, invece, secondo l'art. 2083 cod. civ., viene identificato nelle figure di coltivatori diretti, artigiani, piccoli commercianti e di tutti coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente a conduzione familiare. Inoltre, il piccolo imprenditore non è sottoposto alle procedure concorsuali in caso di fallimento o di insolvenza e non è altresì obbligato a tenere le scritture contabili né a iscriversi nel registro delle imprese. A questo criterio si è ispirato il legislatore per definire con precisione la figura di artigiano; tuttavia rimane irrisolto il problema di chi sia automaticamente esonerato dalla disciplina commercialistica. Secondo una corrente di giurisprudenza, infatti, andrebbe pure accertato se il ricavo di chi esercita una delle attività previste dalla l. 860/1956 risponda alle caratteristiche di remunerazione del proprio lavoro oppure assuma la caratteristica di profitto sul capitale investito; in quest'ultimo caso, infatti, l'imprenditore riveste la figura di imprenditore commerciale. A tal fine è stato quindi studiato un limite quantitativo del capitale investito per delimitare il piccolo imprenditore. L'art. 2135 cod. civ. definisce imprenditore agricolo chi esercita un'attività volta alla coltivazione della terra, all'allevamento del bestiame e a tutte le attività correlate, come la trasformazione e l'alienazione dei prodotti agricoli. Nel codice civile vigente l'imprenditore agricolo, alla stregua del piccolo imprenditore, non è assoggettato alla disciplina commercialistica.

 

Corporate governance

Nelle grandi aziende l'esercizio del potere economico prende forma in una molteplicità di organi e regole che costituiscono la cosiddetta corporate governance. L'espressione si riferisce alla struttura degli organi deputati alla rappresentanza del soggetto economico e al governo dell'impresa, nonché alla ripartizione delle responsabilità su di essi.

L'organo di rappresentanza del soggetto economico dell'impresa è l'assemblea dei soci. All'interno del soggetto economico può formarsi un gruppo di controllo, ossia una coalizione di azionisti che ne assume la maggioranza, sceglie l'alta dirigenza ed esercita la maggioranza nell'assemblea degli azionisti. Il controllo può essere certo se la coalizione possiede la maggioranza del capitale votante, mentre se ciò non accade si tratta di controllo di fatto, in cui la prevalenza è ottenuta con quote di capitale sociale inferiori alla quota di maggioranza assoluta e/o mediante delega di altri azionisti.

Principale organo di governo aziendale è il consiglio di amministrazione, al quale fanno capo le funzioni e le responsabilità degli indirizzi strategici e organizzativi nonché la verifica dei meccanismi di controllo necessari a monitorare l'andamento dell'impresa. Responsabile del funzionamento del consiglio è il presidente, al quale vengono talvolta attribuite deleghe operative.

Alcuni dei compiti del consiglio di amministrazione possono essere attribuiti a un amministratore delegato, che assume funzioni di direttore generale, o a più amministratori delegati. Il consiglio di amministrazione è affiancato da una molteplicità di comitati di supporto in campi specifici. In particolare si ricordano: il comitato per le remunerazioni degli amministratori e il comitato per il controllo interno in grado di valutare l'adeguatezza del sistema di controllo, le relazioni dei revisori ecc. Se il consiglio di amministrazione è molto vasto, al suo interno viene nominato un comitato esecutivo, più agile e operativo. Degli organi di corporate governance delle società di capitali fa parte anche il collegio sindacale, che ha compiti di controllo dell'amministrazione della società, del rispetto della legge e dell'atto costitutivo. Sugli amministratori di società e sugli organi di controllo si veda anche il capitolo sulla forma giuridica dell'impresa.

L'importanza, per un'impresa, di dotarsi di un'adeguata corporate governance per quanto attiene sia gli organi, sia le regole sta nel fatto che essa garantisce un'autolimitazione del potere dei vertici dell'azienda. Tale limitazione è tanto più necessaria quanto più la proprietà (azionisti) risulta frammentata e priva di una reale possibilità di entrare nei problemi operativi aziendali. È questo il caso delle cosiddette public company, società per azioni ad azionariato molto diffuso in cui il potere è totalmente esercitato da amministratori stipendiati o da manager che non possiedono nessuna azione.

 

Nuovi modelli di corporate governance
Accanto al modello tradizionale di corporate governance, in Italia si stanno delineando, sotto l’influenza europea, due ulteriori modelli: il sistema “dualistico” e quello “monistico”,
incorporati nella recente riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6). Il sistema dualistico. Il sistema dualistico prevede la presenza di un "consiglio di gestione", e di un "consiglio di sorveglianza".

La gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di gestione, che è costituito da almeno due componenti anche non soci, ed è nominato dal consiglio di sorveglianza. Il consiglio di sorveglianza è costituito da almeno tre componenti, di cui almeno uno deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia e, solitamente, è nominato dall’assemblea ordinaria. Ad esso sono attribuite sia le funzioni di vigilanza e le responsabilità del collegio sindacale sia larga parte delle funzioni dell’assemblea ordinaria (nomina e revoca dei componenti del consiglio di gestione, loro retribuzione, approvazione del bilancio, promozione dell'azione sociale di responsabilità).

Tutte le società che adottano il sistema dualistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una
società di revisione.

Il sistema dualistico di amministrazione e controllo è largamente ispirato agli ordinamenti tedesco e francese e, soprattutto, allo Statuto della Società Europea stabilito dal Regolamento del Consiglio dell'Unione Europea dell’8 ottobre 2001. Si tratta di un modello di "governance" in cui la proprietà non nomina gli amministratori e non approva il bilancio ma decide sull’elezione del consiglio di sorveglianza, indirettamente determinando le linee del programma economico della società e le modifiche di struttura della società (operazioni sul capitale, fusione e, più in generale, delibere dell'assemblea straordinaria). È il modello di amministrazione che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei soci) e potere (degli organi sociali).

Il sistema monistico. Il sistema monistico prevede un modello di amministrazione sostanzialmente uguale a quello tradizionale: le principali differenze consistono nella impossibilità di affidare l'amministrazione a un amministratore unico e nella eliminazione del collegio sindacale. Quest’ultimo è sostituito dal “comitato per il controllo sulla gestione”, nominato dal consiglio di amministrazione al suo
interno e composto da amministratori che non svolgono funzioni gestionali e che, oltre ad essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci, devono avere almeno un componente scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia (art. 2409-octiesdecies, terzo comma). Tutte le società che adottano il sistema monistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.
Il sistema monistico, come quello dualistico, è largamente ispirato allo Statuto della Società Europea, e attua un modello di "governance" semplificato e più flessibile rispetto
agli altri modelli alternativi. Esso tende a privilegiare la circolazione delle informazioni tra l’organo amministrativo e l’organo deputato al controllo, conseguendo risparmi di
tempo e di costi e una elevata trasparenza tra gli organi di amministrazione e di controllo.

Il sistema tradizionale. Il sistema tradizionale di amministrazione e controllo che, in base alla recente riforma del diritto societario, si applica in mancanza di diversa scelta statutaria, continua a basarsi sulla distinzione tra un organo di gestione - amministratore unico o consiglio di amministrazione - e un organo di controllo, il collegio sindacale.
A quest’ultimo, però, in analogia a quanto già previsto per e società quotate, è sottratto il controllo contabile, che è obbligatoriamente effettuato da un revisore - persona fisica
o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società quotate in borsa, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una
società di revisione.

 

Governo economico dell'impresa e sistema economico

Nella teoria economica il concetto di imprenditore è stato inizialmente elaborato da J.B. Say e successivamente da J. Schumpeter, che ha soprattutto messo in risalto il ruolo cruciale, per lo sviluppo del sistema economico, dell'imprenditore innovativo. Secondo Schumpeter l'imprenditore è colui che, con la propria iniziativa, rompe l'immobile riproduzione dell'esistente e conquista un vantaggio competitivo che gli consente di soppiantare vecchie attività, generando quella forza che lo stesso Schumpeter ha definito "distruzione creatrice". Il processo imitativo spingerà altri imprenditori ad adottare la medesima innovazione, finché tutto il mercato l'avrà accolta e il vantaggio ad essa associato sarà stato azzerato. Nel frattempo, un altro imprenditore innovativo avrà introdotto un'altra innovazione e così via. Se Schumpeter pone l'accento sul disequilibrio, un economista contemporaneo, I. Kirzner, sottolinea invece la capacità dell'imprenditore di spingere verso il coordinamento dei piani individuali e verso l'equilibrio. Per Kirzner, infatti, l'imprenditore è colui che ha la prontezza di scoprire bisogni insoddisfatti, piani discordanti, incapaci di realizzarsi, e di offrire ad essi delle soluzioni. La remunerazione dell'imprenditore – il profitto – appare allora come la ricompensa per aver individuato situazioni di disequilibrio latenti e avere approntato i mezzi appropriati per il loro superamento.

La figura dell'imprenditore individuale, cruciale nel determinare il successo della rivoluzione industriale, è sembrata destinata a essere superata dal gigantismo delle imprese industriali delle economie nazionali più avanzate e dalla forma giuridica della società per azioni. La gestione delle imprese di dimensioni medio-grandi è così passata gradualmente nelle mani di figure dirigenziali, i manager, determinando la progressiva estinzione della figura (se non dello spirito) imprenditoriale. Tuttavia, la persistenza in molti sistemi economici delle piccole e medie imprese e l'introduzione di innovazioni tecnologiche che ne hanno valorizzato gli aspetti più vitali (per esempio, la flessibilità derivante dai limitati investimenti in capitale fisso) hanno consentito di rivalutare negli ultimi anni la figura dell'imprenditore.

Una particolare configurazione del rapporto tra piccola impresa e innovazione tecnologica, in Italia e in altri paesi, è quella costituita dal cosiddetto distretto industriale o cluster.