Daniele Manni, il primo italiano vincitore del Global Teacher Award 2020
Daniele Manni, insegnante in un istituto tecnico-economico di Lecce è il primo italiano ad aggiudicarsi il riconoscimento conferito ai migliori docenti del pianeta, il Global Teacher Award. "Facendo, si impara", questa la sua particolare tecnica didattica che l'ha posto all'attenzione del mondo intero.
«Mi piacerebbe che più del perché ho vinto questo premio, si parlasse del per chi l'ho preso, per merito dei miei ragazzi». Daniele Manni fa questa doverosa premessa per spiegare che ciò che conta davvero sono gli effetti del suo lavoro. Il metodo Manni è finito da qualche anno sotto la lente d'ingrandimento di docenti e presidi. Ad ogni premio, l'Istituto "Galilei-Costa-Scarambone" di Lecce viene subissato di telefonate per chiedere consulenze, per imparare a fare ciò che fa lui. Manni dice sempre di sì a tutti, ma da remoto. E non solo per la pandemia: «Ogni giorno che manco a scuola, lo tolgo ai ragazzi». Ora ha messo a segno un colpo mai riuscito prima: essere il primo italiano vincitore del Global Teacher Award, riconoscimento conferito ai migliori docenti del pianeta. Ed è stata la ministra Lucia Azzollina in persona a sottolineare l'importanza di questa menzione.
Non cercare, ma creare lavoro
Daniele Manni insegna imprenditorialità e informatica in un istituto tecnico-economico. Se la seconda è una materia conosciuta ai più, non deve disorientare l'idea che non si conosca affatto la prima. L'imprenditorialità insegna a fare impresa. «Occupandosi di economia, è assurdo che questi istituti (le ex “ragionerie”, ndr.) non parlino di imprenditorialità – ci spiega il professor Manni – La ragioneria preparava ragionieri necessari a mandare avanti la contabilità aziendale. Venuta meno questa richiesta, è emersa la necessità di preparare i ragazzi a un lavoro a più ampio spettro. O, meglio, a creare da sé delle aziende». Insegnando al Sud, Manni sa quanto è importante per i diplomati non dover più bussare alle varie porte per elemosinare un posto, ma essere in grado di creare una propria attività.
«Certo, qui è difficile fare impresa. Ma non è impossibile», sottolinea il docente. E inizia a raccontare la storia di Alberto Paglialunga che dodici anni fa, dopo l'ennesimo lavoro andato a male e una pletora di esperienze lavorative saltuarie, si ricorda di ciò che diceva il prof Manni a lezione: «Se non trovi un lavoro, inventalo». Così si fa prestare dei soldi da sua madre, compra un pc e mette su un sito internet per vendere pezzi di arredo bagni. Ha sotto mano una partita a buon prezzo e vuole provarci. Oggi, dopo 11 anni, quell'avventura è diventata un'azienda, la Deghi, con un capannone di 14.000 mq e 70 dipendenti assunti, tutti under 35. «Ogni anno vince un premio dedicato ai siti per vendita online del settore arredo. Nella stessa sezione dove lui arriva primo, Ikea è seconda e Amazon terza». Niente male per una scommessa nata in un garage in provincia di Lecce e non nella Silicon Valley.
Il metodo Manni
In tutto il mondo, da una decina d'anni, nelle università si parla di entrepreneurship education e startup. Il professore salentino parte dalla diffusione della materia, ma non va nelle sue classi a spiegare cos'è un'impresa. «Dopo il primo giorno di scuola dedicato alle presentazioni, costringiamo i ragazzi a inventarsi un'idea imprenditoriale. Perdiamo delle lezioni in cui decidiamo cosa creare e poi iniziamo a lavorare per mettere questa idea sul mercato. I ragazzi imparano perché fanno».
Inoltre, fare impresa aiuta a sviluppare tutta una serie di competenze immateriali – le cosiddette soft skill - utili non solo per fare impresa, ma anche nella vita di tutti i giorni. «Solitamente la scuola non pone mai problemi da risolvere. Il docente spiega, l'alunno studia e poi riceve un voto a fronte di una prova. Chi fa questo percorso scolastico si allena a risolvere problemi, cose che in un decorso normale non succede. Impara la resilienza, ad adattarsi ai cambiamenti, cosa che l'imprenditore fa ogni giorno. Inoltre, fare impresa dà fiducia nelle proprie capacità e insegna il lavoro di gruppo, scoprendo i propri talenti e i settori più affini. Un'impresa ha tanti bisogni: ci vogliono il grafico, il commerciale, il nerd, il copy, l'ufficio stampa, i fotografi. Infine, si apprende la gestione dei fallimenti. Dico sempre ai miei studenti che per me è importante che falliscano perché io da adulto so che cosa significa. Loro si arrabbiano quando lo dico. Ma il mio compito è aiutarli a rialzarsi e guidarli nel cambiare idea. Del resto il fallimento non è il contrario del successo, ma è sulla sua strada».
Manni insegna imprenditorialità per due ore a settimana, ma il team lavora tutti i giorni, di pomeriggio, grazie a varie piattaforme di interazione. Il suo metodo lo ha portato tra i finalisti del Global Teacher Award 2015 e del Eitea 2018. Nel 2020 è arrivato terzo all'Entrepreneurship and Innovation Teaching Excellence Awards.
Ricette per una scuola al tempo del Covid
Per fortuna gli studenti del professor Manni erano preparati a un possibile ritorno della didattica a distanza. Già durante il primo lockdown fondi del ministero sono andati a colmare il digital divide tra chi non era in possesso di un pc o tablet per seguire le lezioni. Secondo Manni il gap italiano nell'istruzione non è più tra chi ha gli strumenti e chi non li ha, o tra Nord e Sud, ma tra chi ha la banda larga e chi non ce l'ha.
«In tutta Italia ci sono centri senza una connessione adeguata. Anche nella modernissima Lombardia, che ha tanti paesini di montagna. La banda larga deve essere la priorità del Paese: nessuno deve essere escluso dal mondo digitale». Ma la scuola secondo Manni non si fa a distanza. «Mi auguro che si possa tornare a una nuova normalità con i ragazzi in classe. Da tecnologo me la cavo bene con pc e informatica, ma non chiedetemi di rinunciare ai volti, ai sorrisi, al disordine e alla distrazione dei miei studenti».
La ricetta Manni per la scuola
Daniele Manni sa che crearsi il lavoro è meglio che aspettarlo. Sa che facendo, si impara. E ha tre sogni. Il primo: che tutti gli istituti tecnici come il suo inseriscano l'imprenditorialità nel loro piano di studi (oggi così non è). Il secondo: che tutte le scuole superiori insegnino l'imprenditorialità per permettere agli studenti di sviluppare tutte quelle soft skill necessarie per la vita adulta (non solo lavorativa). Il terzo: che anche nelle scuole medie si introduca questo percorso. «Prima del lockdown andavo in 10 scuole medie in provincia di Lecce. Facevo laboratori con ragazzi più piccoli. Ho visto cose meravigliose. Ve lo dico io, si può fare».
Stefania Leo