Coronavirus e deforestazione record: l’Amazzonia è sempre più in pericolo
Più 55% di deforestazione da inizio 2020 rispetto al 2019. E le comunità indigene sono a rischio estinzione a causa della pandemia. Mai come in questo momento il più grande polmone della Terra rischia di scomparire.
Chi salverà l'Amazzonia? E chi tutelerà i popoli che la abitano? Lo stop imposto dalla pandemia di Coronavirus - che sul resto del pianeta ha portato aria più pulita e diminuzione delle emissioni inquinanti - nella Foresta Amazzonica ha aggravato una situazione già drammatica.
Oltre all'aumento della deforestazione illegale e dell’attività dei cercatori d’oro, infatti, si aggiunge l'urgente problema sanitario degli indigeni, duramente colpiti dal COVID-19. Cosa sta succedendo e cosa possiamo fare per risolvere il problema?
Amazzonia: la deforestazione non si ferma, neanche durante la pandemia
I dati dell'INPE (National Institute of Space Research) parlano chiaro: durante l'emergenza Coronavirus la deforestazione in Amazzonia non solo non si è fermata, ma è anzi aumentata rispetto allo stesso periodo del 2019. Ci ritroviamo ad aver perso già 796 km quadrati di foresta pluviale, il 55% in più rispetto allo scorso anno. Il dato è drammatico, soprattutto se pensiamo al fatto che si tratta del peggior record negativo dal 2008.
La crisi da COVID-19 non ha infatti fermato gli speculatori e deforestatori illegali che, approfittando della momentanea mancanza di controlli dell'IBAMA (agenzia brasiliana di protezione ambientale), hanno continuato indisturbati a tagliare gli alberi, anche nei territori che dovrebbero essere a uso esclusivo delle popolazioni indigene.
La deforestazione nella Foresta Amazzonica è un dramma che, lontano dalle nostre vite, si consuma in silenzio da decenni. Eppure si tratta di un problema che ci tocca da vicino, anche a migliaia di chilometri di distanza. Il taglio illegale degli alberi, infatti, è il risultato di politiche ambientali poco efficaci che, soprattutto sotto la guida di Bolsonaro, stanno lentamente facendo scomparire quello che è universalmente considerato il polmone verde del pianeta.
La distruzione degli habitat, che da un lato diminuisce la biodiversità aggravando la crisi climatica già in atto, ha altre conseguenze negative a livello globale. La diminuzione delle foreste, infatti, riduce lo spazio a disposizione degli animali selvatici che, confinati in spazi sempre più limitati, si avvicinano alle aree abitate dell’uomo, favorendo di fatto le zoonosi e la nascita di nuove pandemie a causa del tristemente noto fenomeno dello spillover, saltato agli onori della cronaca col diffondersi del Coronavirus.
A pagare il prezzo della deforestazione, inoltre, sono soprattutto i popoli indigeni che, attualmente, si trovano a dover affrontare una doppia emergenza.
Deforestazione e Coronavirus: un binomio letale per le popolazioni indigene
La foresta amazzonica è casa di numerose popolazioni indigene, la cui vita - oltre a essere in pericolo a causa della deforestazione - è ora minacciata dal diffondersi del Coronavirus. Con 826 popoli nativi, sono circa 3 milioni le persone che vivono inquesta zona del mondo così geograficamente remota. Secondo la COICA (Coordinamento delle Organizzazioni Indigene della Conca Amazzonica) le persone contagiate dal COVID-19 sarebbero già centinaia di migliaia.
Qui, dove l'accesso alle cure è di per sé difficile, la pandemia è particolarmente drammatica: gli ospedali dell'Amazzonia, che per alcuni popoli indigeni potrebbero trovarsi a giorni di viaggio di distanza, non possiedono le risorse per far fronte a un'emergenza di tal portata. Non dimentichiamo inoltre, che il sistema immunitario degli indigeeni è diverso dal nostro e molto più fragile all'attacco di patogeni esterni. Il pericolo, insomma, è quello di un vero e proprio etnocidio.
In questo contesto così difficile, i disboscatori illegali (e i cercatori d'oro) rappresentano il mezzo di diffusione privilegiato per il virus, soprattutto per le popolazioni incontattate, le più vulnerabili del pianeta.
Sono molte le associazioni e le persone che oggi si ergono a difesa dei popoli indigeni. Celebre è l’intervento di Sebastião Salgado, famoso fotografo brasiliano che ha lanciato un appello rivolto a Bolsonaro, chiedendo un suo intervento urgente affinché il virus e la crescente deforestazione non contribuiscano a dar vita a un genocidio di massa. La petizione di Salgado è pubblicata su Avaaz.
Ma sono anche gli stessi popoli indigeni a essersi mobilitati: il popolo degli Yanomami ha dato vita a una campagna di portata mondiale, volta a espellere gli oltre 20.000 cercatori d'oro dalle proprie terre durante la pandemia di Coronavirus. Sono infatti migliaia gli Yanomami che vivono vicino alle miniere illegali, dove il virus ha mietuto già diverse vittime. Per informazioni e supporto si rimanda al sito ufficiale dell’iniziativa.
Per avere ulteriori informazioni sul problema, consigliamo di dare un’occhiata a Survival International che si occupa da anni di salvaguardare le popolazioni indigene del pianeta: non si è tirata indietro neanche in questo periodo storico così drammatico per l’intero pianeta, ma soprattutto per la Foresta Amazzonica.
Serena Fogli