Tragedia del Vajont: la triste cronaca di un disastro annunciato
Vajont non è solo il nome di una valle. Vajont è anche sinonimo di una tragedia annunciata. Era il 9 ottobre del 1963 e alla TV trasmettevano la finale della Coppa dei Campioni. Molti degli abitanti di Longarone, Erto e Casso erano davanti allo schermo televisivo quando, alle 22.39 un boato riempì e ruppe il silenzio serale della valle: 260 milioni di metri cubi di terra si staccano dal monte Toc e precipitano all'interno della diga inaugurata solo tre anni prima, la più alta del mondo.
Una massa imponente di acqua e detriti oltrepassa il coronamento più alto della diga producendo una valanga fangosa che si abbatte sui paesi sottostanti e sugli abitanti della valle chiusi nelle loro case. I morti sono quasi 2000, tra i quali 487 bambini.
Sono sufficienti pochi minuti e lunghissimi istanti: il fiume di acqua e fango non si arresta davanti niente e trascina, distruggendolo, qualsiasi ostacolo trova sul proprio cammino: strade, uomini, case e qualsiasi tipo di costruzione viene trascinata per decine di chilometri lasciando dietro di sé solo morte e distruzione. Longarone, Erto, Casso, Pirago, Maè, Villanova e Rivalta sono rasi al suolo. I borghi di Le Soesse, Frasègn, Pineda, Il Cristo,Prada, Ceva Marzana, Faè e San Martino vengono distrutti e moltissimi altri comuni ne escono profondamente danneggiati.
All'indomani della tragedia si contano le vittime e si urla allo scandalo: quella del Vajont altro non è stata altro che una tragedia annunciata. Il rischio di costruire una diga nella valle era purtroppo noto ma a nulla valsero i dubbi e le proteste, a nulla le denunce pubbliche sulle pagine dei quotidiani.
Voluta fortemente dal Conte Volpi di Misurata, fondatore e presidente della SADE (Società Adriatica per l'Energia Elettrica), l'idea di costruire nella valle del Vajont la diga più alta del mondo va collocata alla fine degli anni '40.
I lavori cominciarono nel 1956 e fu immediatamente chiaro che la zona scelta era tutt'altro che stabile: già nel 1957 vennero presentate evidenze secondo le quali i pericoli di ingenti smottamenti sulle sponde del serbatoio erano molto alti tanto che, a lavori iniziati, non mancarono scosse sismiche e frane che, invece di portare all'abbandono del progetto, produssero semplicemente una modifica dello stesso. Vennero innalzati i livelli dell'invaso così da limitare i danni qualora il terreno dei monti fosse accidentalmente crollato.
Anni di lavori, anni di proteste, anni di appelli alle istituzioni, anni di timori che vennero cancellati in quattro minuti di puro terrore durante i quali ad essere cancellata fu una valle intera. Una storia sempre attuale, quella del Vajont: quando le logiche del profitto economico superano quelle del buonsenso, quando gli interessi politici vanno oltre i benessere e la vita stessa dei cittadini si utilizza sempre la stessa logora parola: fatalità.
La tragedia del Vajont non ha nulla a che vedere con la fatalità, quello del Vajont non è stato un disastro naturale ma la conseguenza di azioni umane sconsiderate laddove la natura doveva essere lasciata in pace. Il ricordo del Vajont è, e deve continuare ad essere, un monito per il futuro, una spinta a non commettere gli stessi tragici errori.