Anna Politkovskaja, la giornalista che sfidò il potere
La Cecenia, il coraggio, l'assassinio, il 7 ottobre 2006. Storia di una giornalista che ha pagato con la vita la ricerca della verità.
«L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede». È questa una delle frasi più celebri di Anna Politkovskaja, giornalista indipendente russa con cittadinanza americana. Particolarmente attiva sul fronte dei diritti umani, Politkovskaja è diventata famosa per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le sue aspre critiche contro le forze armate e la Russia di Putin, accusati del mancato rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto. È morta assassinata il 7 ottobre 2006, a Mosca, mentre tornava a casa. Il suo omicidio ha suscitato grande clamore internazionale.
Chi era Anna Politkovskaja
Anna Stepanovna Politkovskaja, nata Anna Mazepa, nasce a New York il 30 agosto 1958. È figlia di due diplomatici sovietici di origine ucraina attivi presso l'Onu.
Gli studi
Politkovskaja studia giornalismo e si laurea nel 1980 con una tesi sulla poetessa russa Marina Cvetaeva. Prende il suo cognome dal marito Aleksandr Politkvoskij, sposato l'anno precedente.
Gli inizi di carriera
Politkovskaja inizia a lavorare nel 1982 presso il quotidiano moscovita Izvestija. Rimane lì fino al 1993. È il 1989 quando va in Cecenia come inviata della Obščaja Gazeta per intervistare il neoletto presidente Aslan Maschadov.
Nel giugno 1999 entra nella redazione della Novaja Gazeta e pubblica alcuni libri fortemente critici sul Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Al centro delle sue analisi ci sono la seconda guerra cecena e l'invasione del Daghestan e dell'Inguscezia. Dopo queste pubblicazioni viene spesso minacciata di morte.
Inviata in Cecenia
Il suo impegno per la Cecenia le valgono una serie di premi. Ciò che Politkovskaja fa è sollecitare una maggiore preoccupazione e responsabilità dei governi occidentali, compromessi dal contributo della Russia di Putin alla loro "Guerra del Terrore", che ha seguito gli attacchi dell'11 settembre 2001.
La giornalista russa parla con funzionari, militari e polizia. Va negli ospedali ceceni e nella vicina Inguscezia per intervistare i feriti e sradicati dai nuovi combattimenti. Documenta abusi dei militari russi, dei ribelli ceceni e dell'amministrazione. Racconta le violazioni dei diritti umani e i fallimenti politici nel Caucaso settentrionale. Inoltre, contribuisce a garantire l'evacuazione sicura di una casa di riposo etnicamente mista, grazie al supporto del suo giornale e del pubblico.
Come scrive Politkovskaja, l'ordine presumibilmente restaurato sotto i Kadyrov divenne un regime di tortura endemica, rapimento e omicidio. Una delle sue ultime indagini si è concentrata sul tentativo di avvelenamento di massa di scolari ceceni con una sostanza chimica molto forte e sconosciuta, che li ha instupiditi per molti mesi.
Le prime minacce
Nel 2001 Politkovskaja deve fuggire a Vienna in seguito a ripetute minacce ricevute per email da Sergei Lapin, un ufficiale dell'Omon da lei accusato di crimini contro la popolazione civile in Cecenia. L'ex poliziotto resta in cella un anno e il processo si conclude nel 2005 con la sua condanna.
Il massacro al Teatro Dubrovka
Anna Politkovskaja gode anche di notevole considerazione negli ambienti ceceni. Viene inserita nella lista dei "negoziatori privilegiati" dalla guerriglia e appare fra le personalità impegnate a condurre le trattative durante la crisi del Teatro Dubrovka.
Nel 2002, fra il 23 e il 26 ottobre, il teatro Dubrovka di Mosca diviene il set del sequestro di circa 850 civili da parte di un gruppo di 40 militanti armati ceceni, impegnati a rivendicare fedeltà al movimento separatista ceceno. La loro richiesta si incentrava sul ritiro immediato dell'esercito russo dalla Cecenia, con la conseguente fine della seconda guerra sul territorio. Tra i negoziatori di quelle giornate appare anche il nome di Anna Politkovskaja.
Dopo un assedio di due giorni, le forze speciali russe Specnaz sparano un misterioso agente chimico (poi rivelatosi Fentanyl e gas nervino) attraverso il sistema di ventilazione del palazzo, uccidendo 129 ostaggi e 39 combattenti. Dopo l'irruzione, la conta dei morti sale a 200. Ufficiosamente la stampa internazionale nega qualsiasi responsabilità di Putin. Altri invece gli addossano la responsabilità della decisione di usare il Fentanyl.
Le critiche a Vladimir Putin
Dopo il suo impegno in Cecenia, Politkovskaja diviene famosa in Occidente. Le viene chiesto di scrivere un resoconto più ampio sulla Russia di Putin e lo stesso presidente, raccogliendo opinioni ed esperienze sull'ex tenente colonnello, diventato poi primo ministro di Boris Eltsin.
Tra le sue dichiarazioni più note contro Putin: «Stiamo precipitando di nuovo in un abisso sovietico, in un vuoto di informazioni che significa morte dalla nostra ignoranza. Tutto ciò che ci rimane è Internet, dove le informazioni sono ancora liberamente disponibili. Per il resto, se vuoi continuare a lavorare come giornalista, è totale servilismo per Putin. Altrimenti, può essere la morte, il proiettile, il veleno o il processo – qualunque cosa i nostri servizi speciali, i cani da guardia di Putin - ritengano opportuno».
La morte
Durante la stesura del libro, Politkovskaja si avvale anche delle testimonianze di militari russi e della protezione di alcuni ufficiali durante i mesi più duri della guerra. Nel settembre 2004, mentre si sta recando in volo a Beslan durante la crisi degli ostaggi, dopo aver bevuto un tè datole a bordo, viene improvvisamente colpita da un malore e perde conoscenza. L'aereo è costretto a tornare indietro per permettere un suo immediato ricovero. Le ipotesi portavano tutte a un tentativo di avvelenamento.
Ma la morte attende la giornalista russa nel suo palazzo, a Mosca, il 7 ottobre 2006, data coincidente con il compleanno del presidente russo Putin. La polizia rinviene accanto al cadavere, trovato in ascensore, una pistola Makarov con quattro bossoli. Uno dei proiettili l'aveva colpita alla testa. Sebbene non siano stati individuati i responsabili molti hanno individuato il mandante proprio nel presidente Putin.
Il giorno dopo la polizia russa sequestra il computer di Politkovskaja e tutto il materiale dell'inchiesta che la giornalista stava realizzando. Ma la Novaja Gazeta pubblica tutti gli appunti che restano fuori dal sequestro.
I libri di Anna Politkovskaja
Oltre che nei suoi articoli, anche nei libri di Anna Politkovskaja è possibile leggere di cose «vedute con gli occhi e toccate con mano». Non solo opinioni dunque, ma anche linguaggio schietto, chiaro e fedele all'osservazione. Ecco i libri più importanti della sua produzione.
A Dirty War
Molti dei suoi articoli costituiscono la base di A Dirty War (2001). Descrivono un conflitto, la guerra in Cecenia, che ha brutalizzato sia i combattenti ceceni che i soldati di leva nell'esercito federale, e ha creato l'inferno per i civili intrappolati tra di loro.
La Russia di Putin
Nel libro La Russia di Putin Politkovskaja accusa il Servizio di sicurezza federale russo (FSB) di soffocare tutte le libertà civili al fine di stabilire una dittatura in stile sovietico. Tra i passaggi chiave: «Siamo noi che siamo responsabili delle politiche di Putin... [s]ociety ha mostrato un'apatia illimitata... Se i Chekisti si sono trincerati nel potere, abbiamo lasciato che vedessero la nostra paura, e quindi abbiamo solo intensificato il loro desiderio di trattarci come bestiame. Il Kgb rispetta solo i forti. Il debole divora. Noi di tutti dovremmo saperlo».
A Small Corner of Hell: Dispatches From Chechnya
Nel 2003 pubblica il suo terzo libro, A Small Corner of Hell: Dispatches From Chechnya. In queste pagine denuncia la guerra brutale in corso in Cecenia, nella quale migliaia di cittadini innocenti sono torturati, rapiti o uccisi dalle autorità federali russe o dalle forze cecene. In Italia il volume è tradotto col titolo Un piccolo angolo d'inferno.
Frasi celebri di Anna Politkovskaja
«Bisogna essere disposti a sopportare molto, anche in termini di difficoltà economica, per amore della libertà».
«Certe volte le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano».
«Il compito di un dottore è guarire i pazienti, il compito di un cantante è cantare. L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede».
«Pubblico pochi commenti, perché mi ricordano le opinioni imposte nella mia infanzia sovietica. Penso che i lettori sappiano interpretare da soli quello che leggono. Per questo scrivo soprattutto reportage, anche se a volte, lo ammetto, aggiungo qualche parere personale».
«Non sono un magistrato inquirente, sono solo una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo».
Stefania Leo