Politkovskaja, Anna Stepanovna
giornalista e scrittrice russa (New York 1958 – Mosca 2006). Anna Stepanovna Mazepa Politkovskaja, i cui genitori sono diplomatici sovietici (ucraini) presso l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), studia giornalismo presso l’Università Lomonosov di Mosca, dove nel 1980 consegue la laurea con una tesi sulla poetessa Marina Cvetaeva. Intraprende la carriera giornalistica dapprima collaborando con il giornale della compagnia aerea russa Aereoflot, e successivamente scrivendo per «Izvestija» (1982-1993) e per «Obščaja Gazeta», dove è assistente del direttore e responsabile della sezione emergenze e incidenti. Lavora anche per la radio e per la televesione, interessandosi soprattutto alla politica russa nella regione del Caucaso. Nel 1999 inizia a collaborare con la testata indipendente «Novaja Gazeta» seguendo il conflitto in Cecenia e le vicende di Daghestan e Inguscezia. Da quel momento la sua diventa una voce di aperta denuncia della politica di Putin in patria e all'estero, presentata come antidemocratica e aggressiva. Nel 2001, in seguito alle aperte minacce dalla polizia russa, si rifugia a Vienna e l'anno seguente fa da mediatrice durante l’assedio dei terroristi ceceni al Teatro Dubrovka di Mosca, interrotto dall'incursione dalle forze speciali russe. Nonostante le intimidazioni di cui viene fatta oggetto, prosegue nel suo impegno civile dalle colonne di «Novaja Gazeta». Questo suo coraggioso atto di denucia le costa la vita: viene uccisa il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo. Anna Politkovskaja è diventata il simbolo di un giornalismo di inchiesta schierato a difesa della democrazia e della libertà, e pronto a pagare le conseguenze del proprio dissenso dal potere costituito e oppressivo. Ispirata dal vento libertario della perestrojka e della prima epoca postsovietica, ha raccontato e denunciato il progressivo regresso antidemocratico del suo Paese, rischiando più volte la vita e cercando sempre di raccogliere testimonianze dirette sui conflitti che raccontava. La notizia della sua morte ha generato grande sdegno nella comunità internazionale. Nel 2001 ha vinto il Global Award di Amnesty International per i suoi interventi critici in difesa dei diritti umani, e nel 2003 il premio dell’OSCE per il giornalismo e la democrazia. Ha visitato più volte le repubbliche caucasiche in guerra, raccogliendo testimonianze dirette in alcuni suoi libri, tra cui Un piccolo angolo d'inferno (2003), Cecenia, il disonore russo (2003), La Russia di Putin (2005), Proibito parlare (2007).