epatite virale
processo infiammatorio acuto o cronico del fegato, caratterizzato da necrosi parenchimale e infiltrazione infiammatoria, che può essere causato da numerosi virus. Nella maggior parte dei casi, si tratta di virus primitivamente epatotropi (cioè di virus che hanno come bersaglio elettivo proprio le cellule epatiche), che infettano acutamente il viscere, come i virus A, B, C, D ed E. Numerosi altri agenti virali, non primitivamente epatotropi, possono tuttavia causare epatite virale acuta: il virus di Epstein-Barr (in corso di mononucleosi infettiva), il cytomegalovirus, il virus dell'herpes simplex, il virus della varicella-zoster, il gruppo dei virus coxsackie, il virus della febbre gialla e altri ancora. Ci riferiremo, in questo capitolo, essenzialmente alle forme di epatite sostenute dai virus epatotropi.
L'epatite A
L'epatite virale acuta A (alimentare o infettiva) è sostenuta da un virus RNA; presenta incubazione più breve (15-60 giorni) rispetto alla epatite virale B, contagiosità elevata e trasmissione fecale-orale. È più diffusa nelle popolazioni a basso livello igienico. La via di contagio è generalmente orale, attraverso cibi contaminati (acqua, latte, frutti di mare ecc.). La prevenzione si attua con il rispetto di norme igieniche elementari (per esempio, il virus viene inattivato dalla bollitura dell'acqua per 10 minuti). Il sintomo classico è rappresentato dall'ittero, che però compare in una piccola percentuale di casi, per cui molte forme passano inosservate: la malattia guarisce completamente nella stragrande maggioranza dei casi; in questo caso compaiono gli anticorpi anti-virus A (IgG), che conferiscono protezione per tutta la vita, e non ne conseguono forme croniche. La profilassi con gammaglobuline, indicata per le persone a stretto contatto con i malati di epatite virale acuta A, è invece generalmente superflua nel contatto occasionale (scolastico o lavorativo). La vaccinazione pre-esposizione è oggi disponibile ed è indicata prima di viaggi in zone ad alto rischio (aree tropicali e Paesi in via di sviluppo).
L'epatite B
L'epatite virale acuta B è sostenuta da un virus DNA; ha un tempo di incubazione di 30-180 giorni, minore contagiosità rispetto alla precedente e trasmissione quasi esclusivamente parenterale. È caratterizzata dalla presenza nel sangue dell'antigene Australia, o HBsAg, che è una componente della particella virale. Il contagio avviene con trasfusioni di sangue o emoderivati infetti (attualmente di frequenza molto ridotta per il controllo accurato del sangue dei donatori); con inoculazione accidentale di piccole quantità di sangue infetto mediante siringhe, aghi, strumenti e apparecchiature sanitarie non adeguatamente sterilizzate (per esempio, agopuntura, tatuaggi, cure dentarie, manicure ecc.) o con uso di spazzolini da denti, rasoi, forbici di soggetti infetti; per contatto sessuale, per trasmissione del virus contenuto nel liquido seminale e nel secreto vaginale; per passaggio da madre infetta al neonato al momento del parto. I sintomi della malattia sono aspecifici e somigliano a quelli delle epatiti di altra origine: anche l'ittero, che è il sintomo più caratteristico, è presente solo in una parte dei casi; l'infezione quindi può passare inosservata. La malattia guarisce nella maggioranza dei casi e compaiono nel siero gli anticorpi contro l'HBsAg (IgG anti-HBsAg): in una variabile percentuale di pazienti (a seconda della loro età, del modo di trasmissione del virus e della competenza immunitaria dell'ospite), la malattia tende a cronicizzare, presentando vari quadri che vanno dall'epatite cronica alla cirrosi, con persistenza del componente HBsAg della particella virale nel sangue. Alcuni soggetti invece, dopo il contatto con il virus, non lo eliminano dall'organismo e diventano portatori cronici e potenzialmente infettivi, pur non presentando alcuna epatopatia (portatori "sani" dell'HBsAg); in Italia questi soggetti corrispondono al 3% della popolazione totale, pari a due milioni di portatori del virus.
Prevenzione e profilassi dell'epatite B
La prevenzione dell'epatite virale B si attua con il rispetto di opportune misure igieniche: è da sottolineare che la trasmissione ai conviventi è relativamente rara; in ogni caso, ai portatori di HBsAg si consiglia l'uso strettamente personale di spazzolini da denti, rasoi, pettini, forbici ecc., e l'uso di profilattici nei rapporti sessuali. È necessario che i portatori di HBsAg segnalino il loro stato in occasione di cure mediche o dentistiche in modo da consentire l'attuazione di opportune misure di sterilizzazione. Per quanto riguarda la profilassi con gammaglobuline, risultano efficaci solo quelle "iperimmuni" cioè specifiche per l'epatite virale B, da eseguirsi entro 48 ore dal contagio: sono indicate particolarmente in soggetti con esposizione accidentale a sangue positivo per l'HBsAg. È inoltre possibile effettuare la vaccinazione contro l'epatite virale B: essa è efficace, priva di effetti collaterali di rilievo, dura sufficientemente a lungo (fino a 8 anni, al termine dei quali un richiamo vaccinale prolunga l'immunità per altri 8 anni) ed è indicata nei soggetti ad alto rischio d'infezione, cioè medici e paramedici, neonati di madre positiva per l'HBsAg, partner di soggetti positivi per l'HBsAg e congiunti a stretto contatto, tossicodipendenti, persone che si prostituiscano, emodializzati, politrasfusi, residenti in istituti a regime di vita comunitario, viaggiatori in aree dove l'epatite virale B è più diffusa (Africa e Medio Oriente).
L'epatite C. L'epatite virale acuta C è sostenuta da un virus RNA, contagioso come e quanto il virus B. Questa forma di epatite è quella che, oggi, più facilmente viene riconosciuta nei soggetti politrasfusi e in coloro che, in passato, si sono sottoposti a interventi chirurgici o a trattamenti odontoiatrici, quando ancora non era stato identificato il virus e non erano quindi disponibili efficaci mezzi di prevenzione del contagio. Le modalità di trasmissione e i soggetti a rischio sono, in linea di massima, gli stessi dell'epatite virale B, benché non siano ancora stati definitivamente chiariti. Più frequentemente, tuttavia, decorre in maniera asintomatica. L'evoluzione verso una forma cronica sembra - anche per questi motivi - molto frequente e l'esito in cirrosi appare, qui, proporzionalmente ancora più probabile di quanto avvenga per la forma da virus B. È segnalata anche una maggior incidenza di degenerazione neoplastica. L'alcol è assolutamente da eliminare nei soggetti portatori di virus C in quanto è in grado di aumentare la replicazione del virus.
Le epatiti D ed E
L'epatite virale acuta D (o delta) è sostenuta da un virus RNA difettivo, capace di replicarsi solo se è contemporaneamente presente il virus B: può dunque causare un'epatite virale acuta (o cronica) solo negli individui con contemporanea o preesistente infezione da virus B (ciò accade perché il virus D necessita per la sua replicazione, quindi per attuare l'infezione, del rivestimento esterno del virus B, cioè l'HBsAg). Il virus D si trova spesso nei tossicodipendenti e nei politrasfusi, e causa un'infezione particolarmente aggressiva. Per i motivi esposti, è opportuno vaccinare contro il virus B i soggetti predisposti alla epatite virale D.
L'epatite virale acuta E è sostenuta da un virus RNA, in parte simile al virus A; la sua trasmissione è fecale-orale, la contagiosità elevata al punto che quest'infezione è estremamente diffusa in Asia, Africa e Centro-America. La clinica e la prognosi ripetono quanto già visto per il virus A.
La sintomatologia delle epatiti virali è uguale a quella delle epatiti di altra origine (vedi epatite).
Le complicazioni delle epatiti virali acute
Le complicazioni delle epatiti virali acute sono rappresentate da: artralgie e artriti, angioedema e talora ematuria, che compaiono nel 15% dei casi di epatite virale B, prima dell'insorgenza dell'ittero. L'epatite fulminante, drammatico evento in cui si verifica una massiva necrosi epatocitaria, è rara: insorge prevalentemente in seguito a infezioni da virus B, D ed E ma è stata descritta anche dopo epatite virale acuta A e C. Si presenta con ittero intenso, encefalopatia porto-sistemica e con gravissima e rapidissima evoluzione verso l'insufficienza epatica. La mortalità è alta (80% dei pazienti che entrano in coma), ma le persone che sopravvivono possono guarire completamente. Dopo un'epatite virale acuta B in genere l'HBsAg scompare dal sangue, e ciò indica guarigione: nel 10% dei casi invece persiste per più di sei mesi; di questi, la metà eliminerà l'antigene nei mesi seguenti, ma l'altra metà rimane cronicamente HBsAg positiva. Questi ultimi possono essere portatori "sani" del virus o sviluppare un'epatite cronica con o senza cirrosi. Complicazioni rare sono la pancreatite, la miocardite, l'anemia aplastica e la neurite periferica. I portatori sani dell'HBsAg hanno un rischio aumentato di sviluppare l'epatocarcinoma. La terapia non richiede in genere alcun trattamento specifico: sono consigliati il riposo, una dieta ipercalorica e l'astensione dai farmaci e dall'alcol; nei casi gravi è richiesto il ricovero ospedaliero. In genere non è necessario l'isolamento, ma solo il rispetto delle più elementari norme igieniche.
L'epatite virale cronica
L'epatite virale cronica è caratterizzata dalla persistenza dell'infezione virale per più di sei mesi. È da notare che solo il 30% dei casi di epatite virale cronica fa seguito a una forma acuta: spesso insorge in modo insidioso. I virus B, C e D sono più frequentemente chiamati in causa. Si distinguono, fondamentalmente, due varietà di epatite virale cronica, in base all'aspetto anatomopatologico e all'andamento clinico: quella persistente, benigna, e quella attiva, più aggressiva. Quest'ultima coinvolge più spesso il sistema immunitario cellulare e umorale, con innesco di reazioni autoimmuni che sostengono il danno epatico continuato. Sono variamente presenti ittero, malessere generale, splenomegalia, ascite, edemi, aumento dei vari indici di epatopatia (transaminasi, ALP, gamma-GT, diminuzione percentuale del tempo di Quick) e - come manifestazioni di tipo immunologico - artriti, nefriti, anemie emolitiche ecc. L'esito in cirrosi è assai probabile. La maggioranza delle cronicizzazioni, tuttavia, non appare così maligna e tende a manifestarsi con alternanza di periodi di relativa quiescienza, in cui il paziente sta abbastanza bene e il quadro clinico è modesto, e periodi di riacutizzazione, caratterizzati da sintomi e segni di insufficienza epatica. La diagnosi si basa sui soliti esami ematochimici della funzionalità epatica, che possono rivelarsi alterati, e sul dosaggio di antigeni e anticorpi relativi alle diverse forme virali. Ecografia e TAC sono procedure ormai di routine, in queste patologie. Sono oggi disponibili anche sofisticate tecniche di biologia molecolare e amplificazione genomica (Polymerase Chain Reaction), che sono in grado di specificare addirittura i genotipi virali coinvolti. Il completamento della diagnosi è, essenzialmente, bioptico. La precisazione istologica del tipo di epatopatia cronica e l'identificazione corretta del virus che la sostiene sono, peraltro, indispensabili per le decisioni terapeutiche inerenti al caso. Cortisone, azatioprina ed interferone - in vari schemi di somministrazione - sono attualmente i farmaci più usati nel trattamento delle epatiti virali croniche, sotto stretto controllo specialistico. Sempre possibili sono l'evoluzione cirrotica e neoplastica.