Espansione dell'universo: le teorie
Agli inizi del secolo ventesimo la cosmologia universalmente accettata considerava l’universo come stazionario: cioè le galassie e le stelle sarebbero state lì dove le osservavamo da sempre e senza alcun movimento relativo le une rispetto alle altre.
Evidentemente un tale modello di universo presentava un grave problema: a causa della gravità, le galassie avrebbero dovuto collassare tra di loro terminando in una immane catastrofe.
Poiché ciò non accadeva, si proposero varie modifiche al modello iniziale.
Lo stesso Einstein, nelle sue formule di cosmologia introdusse un termine, chiamato "costante cosmologica", che introduceva una misteriosa forza capace di contrastare la gravità.
Nel 1929, l’astronomo E. Hubble fece una scoperta straordinaria: le galassie non sono immobili nello spazio ma si allontanano le une dalle altre. Inoltre, la velocità di allontanamento è proporzionale alla loro distanza reciproca (legge di Hubble): più due galassie sono lontane, più velocemente esse si allontanano.
La velocità di una galassia si misura utilizzando l’effetto Doppler. Questo effetto ci è familiare: quando udiamo il suono di una sirena (ad esempio di un’ambulanza), notiamo che la frequenza è più alta quando la sorgente si avvicina a noi, per poi diminuire quando essa si allontana.
Questo perché le onde sonore, che sono emesse sempre alla stessa frequenza, sono come ”compresse” (frequenza più alta) quando la sorgente ci si avvicina, mentre sono come diradate (frequenza minore) quando essa si allontana. Lo stesso avviene con la luce proveniente dalle galassie. Se la galassia ci si avvicina, la sua luce sarà spostata verso il blu (frequenze più elevate), al contrario se essa si allontana la sua luce risulterà spostata verso il rosso (in inglese “redshift”).
Tutte le galassie dell’universo (eccetto effetti locali) mostrano un più o meno pronunciato redshift: segno che tutte si allontanano da noi. Si è inoltre accertato che più grande è il redshift, più elevata è la velocità di allontanamento, e quindi (legge di Hubble) più distanti esse sono da noi.
Si paragona a volte, erroneamente, l’espansione dell’universo ad una immensa esplosione. Non è così. Principalmente perché in una esplosione vi è un centro, mentre l’universo non ne ha uno. Ogni punto dell’universo può essere considerato come il suo centro, poiché in qualunque direzione si guardi si trova lo stesso numero di galassie (principio di uniformità dell’universo).
Il migliore esempio che si possa fare è quello di considerare un panettone durante la fase di cottura in un forno. La pasta si gonfia ed i chicchi d’uvetta si allontanano tutti gli uni dagli altri senza alcun centro: inoltre più due chicchi sono lontani, più velocemente essi si allontaneranno tra di loro.
Ponendo le galassie al posto dei chicchi d’uva e lo spazio al posto della pasta del panettone, si ha una buona approssimazione di quel che accade nell’universo. Lo spazio quindi si gonfia, si espande, trascinando con sé tutte le galassie.
Questa espansione invece non accade all’interno delle galassie poiché la gravità è localmente più forte.
Immaginando di tornare indietro nel tempo, si vede che le galassie si vanno via via ravvicinando le une alle altre, finché, ad un certo momento, le loro posizioni coincidono. Si calcola che ciò sia avvenuto 13,8 miliardi di anni fa, ed il momento in cui ciò è avvenuto viene chiamato “Big Bang”.
Come vedremo tra breve, la nostra ipotesi differisce non poco da questa descrizione.
Per leggere la versione integrale della teoria di Gianpaolo Benincasa clicca qui.
Qui per la versione inglese.
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