tularemìa
sf. [sec. XX; dal distretto californiano di Tulare, dove tale malattia era endemica+-emia]. Malattia infettiva sostenuta da Francisella tularensis, che infetta molti animali selvatici e domestici e viene trasmessa all'uomo per via diretta o tramite un insetto vettore. La malattia è diffusa nei Paesi occidentali soprattutto tra escursionisti, cacciatori e lavoratori a contatto con animali selvatici. Dopo un periodo di incubazione di 3-6 giorni, insorge improvvisamente con brividi, febbre alta, esantema maculoso o papuloso; il decorso successivo può presentare diversi aspetti clinici. Nella forma ulcero ghiandolare nel punto di inoculazione (in genere sulle mani) si manifesta una papula dolorosa, che poi si ulcera, mentre le linfoghiandole satelliti vengono interessate; la forma oculo ghiandolare è caratterizzata da papule sclerocorneali con edema congiuntivale e reazione linfoghiandolare latero cervicale e ascellare; nella forma ghiandolare si osserva tumefazione diffusa delle linfoghiandole in assenza di lesioni cutanee; la forma tifosa infine decorre come una sepsi. La diagnosi di certezza viene formulata con test sierologici. Se non curata adeguatamente (streptomicina, gentamicina e altri antibiotici), la tularemia può durare mesi e ha mortalità elevata. La prevenzione si attua prevalentemente mediante protezione con guanti e mascherine e vaccinazione dei soggetti a rischio professionale.