tràgico

agg. e sm. (pl. m. -ci) [sec. XVI; dal latino tragícus, dal greco tragikós].

1) Agg., proprio della tragedia: attore, poeta tragico; stile tragico, secondo la classificazione stilistica dantesca, lo stile adatto agli argomenti più elevati, in opposizione a quello comico e a quello elegiaco. Fig., luttuoso, doloroso, triste: avvenimenti tragici; anche violento, brutale, cruento: fare una tragica fine.

2) Sm., autore di tragedie: i tragici greci. Meno comune, attore che recita tragedie; fig.: fare il tragico, assumere atteggiamenti da tragedia, reagire con un'eccitazione sproporzionata all'effettiva gravità della situazione.

3) L'essenza della tragedia, tragicità: l'interpretazione aristotelica del tragico; anche fig., aspetto doloroso, situazione drammatica. § Nel suo senso più specifico il concetto di tragico ha ricevuto la sua prima e compiuta disamina per opera di Aristotele, nelle sue riflessioni sulla tragedia greca: Aristotele infatti distingue nel sentimento del tragico due elementi, il terrore e la compassione, da cui ha origine la purificazione interiore dello spettatore della tragedia, culminante nella catarsi. Da W. Shakespeare al teatro romantico, dopo una salda fedeltà del Rinascimento ad Aristotele, nasce invece una diversa coscienza della non-superabilità e della non-risolvibilità del conflitto tragico. Dopo i tentativi di razionalizzare il tragico compiuti da G. W. Hegel nella sua Estetica, nasce una vera e propria “filosofia del tragico”, che batte però altre vie: in particolare, nelle considerazioni di F. W. Nietzsche sulla tragedia, il tragico è l'essenza stessa della vita, l'urto tra istinto e razionalità. Emerge in ogni modo, in tutte le riflessioni filosofiche sul tragico, l'idea che esso sia essenzialmente l'espressione dell'urto di istanze morali tra di loro incompatibili, urto che dilania la coscienza dell'uomo e che non è suscettibile di una pacificazione logica.