sociobiologìa
IndiceDescrizione generale
Sf. [sec. XX; socio-+biologia]. Indirizzo scientifico, associato soprattutto al pensiero e all'opera di E. O. Wilson, che l'ha sinteticamente definita come “lo studio sistematico di tutti i comportamenti sociali”. La sociobiologia si sforza, cioè, di spiegare l'organizzazione sociale del mondo animale – compresa la specie umana – e le direttrici delle sue trasformazioni assumendo come riferimento le caratteristiche biologiche identificabili, per esempio, nelle costituzioni genetiche o nei vincoli di compatibilità. Valendosi dei contributi delle ricerche etologiche, i sociobiologi hanno potuto elaborare interessanti e originali modelli di comprensione del comportamento animale, evidenziando anche suggestive analogie con le modalità di organizzazione e comunicazione delle società umane.
Le diverse teorie
Mentre i biologi concordano unanimemente sul fatto che si possa applicare il pensiero evoluzionistico (o selezionista) agli animali e alle piante, molti di essi ritengono che non sia possibile, né auspicabile, applicare lo stesso modo di ragionare all'evoluzione del comportamento umano; risulta infatti difficile accettare che il nostro comportamento sia stato modellato dalla selezione naturale in modo da promuovere il successo riproduttivo individuale globale, cioè dell'individuo e di tutti coloro che portano uno o più dei suoi geni (segnatamente i parenti). Il principio sul quale poggia l'obiezione mossa ai sociobiologi è che per poter formulare ipotesi ragionevoli sul comportamento di qualsiasi specie animale è necessario assumerlo come “adattato”, ovvero come risultato di un processo evolutivo. Se questo è vero, il comportamento deve necessariamente avere una base genetica, unica condizione che avrebbe permesso in passato alla selezione di operare su diverse alternative. L'obiettivo della sociobiologia, se applicata al comportamento umano, consisterebbe dunque nel trovare i geni responsabili dei diversi comportamenti, come per esempio dell'altruismo o dell'aggressione, geni che non sono mai stati individuati. La replica dei sociobiologi è che tale argomentazione riposa su un equivoco e perde totalmente di vista l'obiettivo primario dell'analisi sociobiologica del comportamento. Infatti si sa anche meno sulla base genetica del comportamento di allarme degli scoiattoli terrestri o del comportamento della vita di gruppo del leone, ma questo fatto non impedisce agli studiosi di porre e mettere alla prova ipotesi sul loro valore adattativo. Ciò che interessa la sociobiologia, è l'analisi delle cause remote del comportamento e non le cause prossime. Lo studio dei sistemi neuronali, per esempio, che permettono a un pipistrello di scoprire una falena in volo è inteso alla comprensione delle cause prossime del comportamento; quando invece formuliamo e saggiamo ipotesi sul modo in cui il comportamento del pipistrello aumenta il suo successo biologico, studiamo le cause remote del comportamento e le cerchiamo nella sua storia evolutiva. Allo stesso modo quindi, secondo i sociobiologi, è del tutto possibile mettere alla prova ipotesi su comportamenti umani senza sapere nulla della loro base genetica. Una seconda obiezione mossa ai sociobiologi è che gli esseri umani non agiscono con l'intento di aumentare il proprio successo riproduttivo globale: raramente, o mai, essi agiscono pensando alle conseguenze riproduttive del loro comportamento. Infatti, se si chiede a un qualsiasi essere umano perché si sia sposato con un certo compagno o una certa compagna, perché ha messo al mondo dei figli, nella gran parte dei casi le sue risposte non avranno nulla a che vedere con il suo successo biologico. Però, se un piccolo cuculo che getta fuori dal nido che lo ospita i piccoli della specie adottiva potesse parlare, neanch'esso direbbe che lo fa perché desidera lasciare il maggior numero di copie possibile dei suoi geni. Nessuna delle ipotesi sociobiologiche assume però che gli animali siano coscienti degli effetti evolutivi del loro comportamento e questo è ugualmente valido per gli uomini. La terza obiezione mossa è che non tutto il comportamento umano è biologicamente adattativo. Le critiche alla sociobiologia umana abitualmente citano comportamenti come il celibato dei membri di certe religioni o le proibizioni di mangiare alimenti perfettamente commestibili come esempi di comportamenti chiaramente non adattativi. Secondo queste critiche, se qualche comportamento umano diminuisce il successo biologico di chi lo pratica, allora l'approccio sociobiologico non può essere corretto. In questa argomentazione è implicita la credenza che assolutamente tutte le sfaccettature del comportamento degli animali (incluso l'uomo) debbano essere adattative; tuttavia neanche questo è provato. Assumere che un comportamento sia adattativo è soltanto una ipotesi di lavoro che permette di generare altre ipotesi da sottoporre a verifica; da un punto di vista sociobiologico, se si assume che il celibato è adattativo in una certa cultura, è necessario che questa ipotesi sia messa alla prova. In questo specifico caso, un riscontro positivo può a priori sembrare impossibile, però non si dovrebbe sottovalutare l'esistenza di molte forme di selezione indiretta. Il punto importante è che la possibilità di formulare più ipotesi adattamentiste sul celibato non implica che nessuna di esse sia corretta. E poiché è possibile rifiutare una o più ipotesi dopo appropriate verifiche, la nostra conoscenza del comportamento in questione ne risulterà comunque migliorata. Infine, una ulteriore obiezione è che la sociobiologia serve a giustificare l'ingiustizia sociale e la disuguaglianza di opportunità, fungendo da base “scientifica” a politiche sociali ingiuste. Secondo i critici, affermare che un comportamento è adattativo, cioè che è geneticamente determinato, equivale a dire che è buono e pertanto non può e non deve essere cambiato. Per esempio, se una teoria sociobiologica dice che la dominanza del maschio è adattativa, allora quella teoria direbbe anche che le consuetudini della nostra società, in cui in genere gli uomini dominano sulle donne, riflettono un modo di essere desiderabile, mentre le proteste femministe sarebbero assurde perché vanno contro ciò che è biologicamente determinato. A questo proposito, non c'è dubbio che i risultati scientifici in genere siano soggetti ad un utilizzo che può rivelarsi completamente differente dal motivo ispiratore e dalle intenzioni originarie del ricercatore: è noto a tutti, ad esempio, che le ricerche di Nobel sulle sostanze esplosive e di A. Einstein sulle relazioni tra materia e energia servirono, loro malgrado, per lo sviluppo degli armamenti e per l'incremento della distruttività delle guerre. Analogamente, la teoria darwiniana dell'evoluzione per selezione naturale è stata usata per affermare che i ricchi sono esseri superiori, oppure che sarebbe necessario praticare una migliore genetica umana impedendo la riproduzione degli “esseri inferiori”. Nei primi anni Ottanta del XX sec., però, alcuni fautori della sociobiologia hanno impresso alle loro ricerche una curvatura critica nei confronti di tutti i tradizionali approcci sociologici, con un sostanziale, discutibile ridimensionamento del carattere intenzionale e storico dell'azione umana. Di qui una polemica – non priva di implicazioni etiche e ideologiche – protrattasi per quasi un decennio, con l'accusa rivolta alla sociobiologia radicale di produrre una teoria del controllo sociale realizzabile attraverso il condizionamento delle basi genetiche del comportamento umano. Oggi vi è peraltro un largo accordo sull'irriducibilità dei comportamenti collettivi e individuali umani ai modelli animali, anche considerando la grande distanza evolutiva delle diverse specie. La sociologia riafferma la centralità della cultura e della storicità dell'azione umana, pur riconoscendo l'esistenza di condizionamenti e analogie che riguardano il mondo animale. Gli approfondimenti della ricerca etologica appaiono perciò utili e scientificamente stimolanti, se non si dimentica che la società – come prodotto dell'intenzionalità umana – nasce proprio dall'emancipazione della condizione umana dai vincoli biologici.
Sociobiologia e comportamenti umani
Occorre ribadire che l'unica vera pretesa della sociobiologia è quella di mettere alla prova la validità delle ipotesi adattamentiste sul comportamento umano. Le ipotesi sociobiologiche sul comportamento umano si articolano in tre categorie: un comportamento 1) può essere attualmente adattativo (cioè avere un effetto positivo sul successo riproduttivo degli individui che lo attuano); 2) può essere al presente non adattativo ma essere stato adattativo in passato, quando la specie era sottoposta a pressioni ambientali differenti da quelle attuali; 3) può non essere al presente né essere mai stato adattativo, ma essere una conseguenza secondaria di un altro comportamento che aumenta decisamente il successo riproduttivo (effetto pleiotropico).
I problemi etici
Il punto importante che i critici trascurano è che la sociobiologia si propone di spiegare come si evolve il comportamento e non pretende di giustificarlo. Questa distinzione non comporta problemi quando lo studio si rivolge agli animali non umani. I ricercatori che studiano l'infanticidio nelle scimmie langur o il virus che provoca la sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV), non vengono accusati di approvare l'infanticidio o l'HIV. L'interazione fra i geni e il nostro ambiente lascia ampio spazio alla libertà individuale, sicché ognuno continua a essere responsabile delle sue azioni indipendentemente dai geni che porta nelle sue cellule. Senza dubbio la formulazione di ipotesi sul comportamento umano mediante i metodi sociobiologici risulta molto difficile, a causa dell'enorme varietà di strutture sociali che la nostra specie presenta. Come possiamo pensare che il comportamento riproduttivo sia adattativo se esistono società poliandriche, poliginiche o monogamiche? Per alcuni studiosi del comportamento umano è chiaramente inutile formulare ipotesi sociobiologiche sul nostro comportamento, giacché la diversità di organizzazioni sociali che la nostra specie presenta offre sufficiente evidenza del fatto che siamo sfuggiti ai vincoli della nostra storia evolutiva. Il nostro comportamento è arbitrario e pertanto non ha senso cercare significati adattativi per esso.