scintigrafìa
sf. [da scinti(llazione)+ -grafia]. Tecnica diagnostica che consente la visualizzazione degli organi dal punto di vista anatomico e funzionale grazie all'utilizzo di isotopi radioattivi somministrati al paziente per via generale. Tali sostanze si distinguono in traccianti, quando sevono a indagare la funzionalità di un organo, e indicatori, quando invece si limitano a evidenziarne la struttura. L'immagine scintigrafica viene realizzata da speciali apparecchi, chiamati scintigrafi, che rivelano e quantificano le radiazioni emesse dalla superficie cutanea corrispondente all'organo da studiare. I principali traccianti utilizzati sono lo iodio radioattivo, elettivo per lo studio della tiroide che lo capta come suo normale costituente metabolico; il tecnezio radioattivo, che viene incorporato in composti biologici, come le microsfere di albumina, per lo studio del polmone, dello scheletro, del cervello; il tallio radioattivo, utilizzato per la scintigrafìa del cuore, che consente di fornire dati importanti sulla circolazione del sangue in corrispondenza e in vicinanza di aree colpite da infarto. La scintigrafìa a emissione positronica è una tecnica basata sul rilevamento di positroni emessi da sostanze marcate introdotte nell'organismo. Le sostanze, comunemente il carbonio 11, l'azoto 13, l'ossigeno 15, una volta iniettate nel sangue del soggetto, si dirigono in quegli organi che più le utilizzano: una volta liberati, i positroni vengono intercettati da particolari strumenti ed elaborati da un computer allo scopo di ottenere immagini fotografiche degli organi studiati. Tale metodica permette di indagare l'attività cerebrale nell'ambito di diverse malattie nervose e psichiche (demenza, schizofrenia ecc.). Essa consente inoltre di ricercare tumori il cui metabolismo sia più o meno attivo rispetto alle aree circostanti. Può essere utilizzata anche per studiare l'attività metabolica cardiaca e valutarne la funzionalità in caso di cardiopatia ischemica.