russo-giapponése, guèrra-
conflitto (1904-05) che pose di fronte le due nazioni per la supremazia in Estremo Oriente. I rapporti tra Russia e Giappone, dopo il trattato stipulato a Pietroburgo (1875) tra le due potenze, furono improntati per una ventina d'anni a una certa cordialità. Non mancava chi in Russia preconizzava la conquista di un porto coreano per rimediare all'inagibilità di Vladivostok nei mesi invernali; ma il governo russo pensava piuttosto a estendere la sua influenza sulla Manciuria, nella quale si potevano trovare basi altrettanto vantaggiose senza urtare gli evidenti interessi del Giappone nella penisola coreana. La situazione mutò improvvisamente quando l'esito vittorioso di una guerra con la Cina (1894-95) consentì al Giappone di ottenere la penisola manciuriana di Liao-tung con Port Arthur. A questo punto la Russia si ritenne lesa; intervenne e, spalleggiata da Francia e Germania, indusse il governo di Tōkyō a rinunciare alla conquista. Quando poi, tre anni dopo (1898), la Russia, in seguito a un'azione di rappresaglia compiuta dalle sue truppe a danno dell'Impero cinese, occupò a sua volta Liao-tung e Port Arthur, i Giapponesi si sentirono offesi, se non addirittura scherniti. La guerra tardò ancora 6 anni perché il governo giapponese tentava di riaffermare i suoi diritti con mezzi pacifici, mentre il governo di Pietroburgo seguiva una politica incerta e contraddittoria, a tal punto che, pur desiderando in astratto la pace col Giappone, si decise alla guerra contro il parere dei ministri e dei generali di maggior credito. Si riteneva anche, a Pietroburgo, che una guerra “facile” e di pochi rischi potesse placare le agitazioni politico-sociali del Paese accendendo il patriottismo orgoglioso dei Russi. Lo zar in questa circostanza si mostrò pronto a seguire il consiglio meno ragionevole, dimenticando quel pericolo tedesco che pur l'aveva indotto a cercare l'amicizia della Francia. La guerra apparve inevitabile nel febbraio 1904, quando i Giapponesi, fidando nell'appoggio dell'alleata Inghilterra e anche degli Stati Uniti, aprì all'improvviso le ostilità, attaccando con la flotta la base di Port Arthur. La guerra si annunciava piuttosto equilibrata (anche se in Occidente si credeva ciecamente al mito della “superiorità dell'uomo bianco”). La flotta giapponese sarebbe stata inferiore all'avversaria se i Russi avessero potuto disporre di tutta, o quasi, la loro flotta; ma le navi del Mar Nero erano bloccate dai trattati vigenti che vietavano il passaggio di navi da guerra attraverso il Bosforo e i Dardanelli, mentre la poderosa flotta del Baltico sarebbe stata costretta al periplo dell'Africa per portarsi sul teatro della guerra. Quanto all'esercito, quello russo prevaleva per l'artiglieria, ma i rifornimenti di uomini e di materiali erano resi difficili dalle distanze enormi e dalle ridotte possibilità della Transiberiana. Il conflitto s'iniziò e si concluse con operazioni navali. Mentre il viceré ammiraglio Alekseev, comandante delle forze di terra e di mare, persisteva in una strategia d'attesa finché fossero giunti ulteriori rinforzi, il viceammiraglio Makarov, di sua iniziativa, reagiva con molta energia ai continui attacchi dei Giapponesi; ma lo scoppio di una mina lo faceva affondare (12 aprile 1904) con la nave ammiraglia Petropavlovsk, togliendo alla marina russa uno dei suoi comandanti più rinomati per competenza tecnica e coraggio. La flotta russa si estenuava in una lotta ormai impari contro le navi nipponiche; e intanto le truppe giapponesi della Corea sbarcavano in Manciuria, attaccando (agosto) Port Arthur e tenendo a bada le forze terrestri del generale Kuropatkin che, movendo da Mukden, avrebbero dovuto accorrere nel Liao-tung in soccorso della città assediata. Tra l'agosto e l'ottobre si ripeterono i tentativi di Kuropatkin di farsi strada verso Port Arthur sfondando le linee nemiche; ma i Giapponesi non gli permisero d'avanzare e la città, dopo cinque mesi di sanguinoso assedio, si arrese il 2 gennaio 1905. I vincitori persero in questa operazione 110.000 uomini; gli assediati, 17.000. Alla fine del gennaio 1905, Kuropatkin, che aveva sostituito Alekseev nel comando supremo, riprese l'offensiva impiegandovi forze ancor maggiori; respinto una prima volta, ritentò un nuovo attacco nella battaglia di Mukden, che durò dal 18 febbraio al 10 marzo e vide in campo circa 700.000 combattenti complessivamente. La vittoria, contrastatissima, premiò il generale giapponese Oyama; Kuropatkin, tuttavia, si ritirò in buon ordine. Anche questa battaglia costò assai cara a entrambi gli eserciti: i Russi persero 88.000 uomini tra morti, feriti, prigionieri e dispersi; i Giapponesi denunciarono 41.000 uomini fuori combattimento, ma ne ebbero probabilmente assai di più. La guerra terrestre sembrava terminata, anche per la sproporzione tra le perdite subite e il valore degli obiettivi perseguiti; ma il governo dello zar sperava ancora nella flotta del Baltico che, al comando dell'ammiraglio Rožestvenskij, era partita nell'ottobre dell'anno precedente da Libau (Lettonia), diretta a Vladivostok, e si avvicinava alle coste giapponesi dopo una navigazione ricca di peripezie, durata oltre 7 mesi. Lo scontro avvenne il 27-28 maggio 1905 presso l'isola di Tsushima: la flotta dell'ammiraglio giapponese Togo, in condizioni di perfetta efficienza, si trovò di fronte una flotta tecnicamente inferiore e logorata da un viaggio disastroso, i cui equipaggi combatterono con incredibile accanimento un'assurda, disperata battaglia. Il governo russo, perduta l'ultima forza navale disponibile, si rassegnò ad accettare la proposta di mediazione del presidente americano T. Roosevelt. La pace fu firmata a Portsmouth (New Hampshire, USA) il 5 settembre 1905. I Russi, che non si riconoscevano battuti (il loro esercito era ancora in grado di combattere), rinunciarono al Liao-tung in favore del Giappone e riconobbero la preminenza degli interessi nipponici in Corea. I Giapponesi, stremati anch'essi dalla dura lotta, fecero altrettanto per la Manciuria del nord, così che la posizione della Russia in Estremo Oriente rimase pressoché intatta. L'isola di Sahalin, già occupata dai Giapponesi, fu divisa tra i due contendenti. Quanto al governo imperiale cinese, che aveva diritti di sovranità sulla Corea e soprattutto sulla Manciuria, non fu neppure informato delle trattative che miravano alla spartizione di un suo territorio.