reflessologìa
sf. [sec. XX; dal latino tardo reflexus, riflesso (sostantivo)+-logia]. Dottrina psicologica sviluppatasi particolarmente nell'URSS nella prima metà del sec. XX a seguito degli studi di I. P. Pavlov sui riflessi condizionati (il termine reflessologia venne coniato nel 1921 da V. M. Bechterev). Pavlov aveva dimostrato come, in determinate condizioni, associando a uno stimolo che normalmente evoca una risposta riflessa in un organismo (stimolo incondizionato: per esempio il cibo che provoca la salivazione in un cane affamato) un secondo stimolo che è incapace di evocare tale risposta (stimolo condizionato: per esempio il suono di un campanello), dopo un certo numero di associazioni lo stimolo condizionato diventa da solo in grado di evocare la risposta. Con la scoperta di tale fenomeno, detto condizionamento classico, si aveva per la prima volta la possibilità di dimostrare oggettivamente (e di controllare sperimentalmente) una modificazione del comportamento sulla base delle contingenze ambientali. Con l'affermarsi poi del socialismo in URSS parve che la reflessologia potesse fornire la base per una psicologia autenticamente marxista, che, secondo P. A. Rudik, si fonderebbe su questi principi: monismomaterialista, per cui i fenomeni psicologici sono manifestazioni dell'attività fisiologica del sistema nervoso; determinismo: i fenomeni mentali sono l'effetto dell'interazione tra attività nervosa superiore e ambiente; riflesso: la coscienza non è che il riflesso soggettivo di una realtà oggettiva; unità di coscienza e attività: la mente si manifesta e si forma anche nell'attività e solo in connessione con questa ha senso studiare i processi mentali; storicismo: lo sviluppo psicologico è storicamente determinato, non potendosi studiare l'uomo astrattamente dalle condizioni sociali in cui vive; unità di teoria e prassi: la ricerca psicologica non può astrarsi dai problemi sociali ma deve impegnarsi anche nei confronti della realtà in cui lo psicologo opera.