predicativismo
sm. [da predicativo]. In logica matematica, nell'ambito della questione dei fondamenti della matematica, uno dei grandi filoni in cui venne articolandosi il costruttivismo nel primo ventennio del sec. XX. Esso trae origine dal rifiuto della concezione platonista che caratterizzava l'opera di J. Dedekind, K. Weierstrass e in particolare di G. Cantor e dal tentativo di eliminare le antinomie che ponevano in crisi tutta l'impostazione logicista che era scaturita dall'opera di G. Frege. Questo tentativo individuava appunto nella visione platonista la causa delle antinomie e in particolare nell'uso delle definizioni impredicative, vale a dire il definire un dato ente facendo riferimento alla totalità alla quale questo ente appartiene, e al conseguente uso dell'infinito attuale che queste definizioni comportano. È questo l'atteggiamento degli analisti francesi, di Poincaré e di B. Russell. Questi due filosofi per eliminare le definizioni impredicative formularono il principio del circolo vizioso, secondo il quale non si può definire un ente facendo riferimento alla totalità che lo dovrebbe contenere. L'infinito attuale veniva così accolto solo a livello numerabile, si ammetteva cioè l'esistenza del solo insieme dei numeri naturali nella sua totalità in quanto però generabili a partire da zero con il passaggio al successivo. In particolare B. Russell partendo dal punto di vista predicativista e nel tentativo di eliminare le antinomie formulò la sua teoria ramificata dei tipi. In essa, al fine di far coesistere l'impostazione predicativista con il fatto che gran parte dei teoremi fondamentali dell'analisi comportavano definizioni impredicative, Russell si trovò nella necessità di formulare l'assioma di riducibilità, secondo il quale per ogni funzione proposizionale di livello arbitrario esiste una funzione proposizionale del primo livello formalmente equivalente. Questo assioma consentiva di recuperare all'impianto predicativista quei ragionamenti che tali non erano, ma costituiva anche l'anello più debole della catena, come mostrarono le indagini successive che su di esso si appuntarono, in quanto risultava difficilmente giustificabile proprio dal punto di vista predicativista. Si tentò quindi di eliminarlo: il logico-matematico L. Chwistek lo rifiutò assumendo una rigida impostazione predicativista che però comportava la rinuncia alla possibilità di ricostruire gran parte della matematica. Anche F. P. Ramsey lo respinse: dopo aver attentamente analizzato le antinomie e averle classificate in logico-matematiche e logico-linguistiche, ritenne queste ultime non pertinenti alla questione. Realizzò quindi l'eliminazione delle prime e la fondazione della matematica, ma con l'eliminazione di ogni nozione intensionale connessa alle seconde e quindi con una menomazione della logica stessa. Questa impostazione venne ritenuta inaccettabile da gran parte degli studiosi e da Ramsey stesso. L'indirizzo predicativista si trovava in un vicolo cieco come mostra l'esito di altri tentativi in quella direzione. Senza sviluppo restò quello del 1918 di H. Weyl di delineare un sistema di matematica predicativista per molti versi analogo alla teoria ramificata dei tipi di Russell; neanche molto soddisfacente fu il tentativo portato avanti da Hao Wang nel 1954. Anche se in seguito si è potuto mostrare come molti dei teoremi dell'analisi che ai tempi di Russell richiedevano definizioni impredicative fossero passibili di interpretazione predicativa, questo indirizzo di pensiero si è andato via via stemperando in altre impostazioni arricchendole della propria problematica.