pragmatismo
Indice(meno comune prammatismo), sm. [sec. XX; dall'inglese pragmatism, dal greco prâgma-atos, cosa, fatto]. Corrente filosofica che si presenta come reazione all'intellettualismo dell'Ottocento, assumendo, di fronte al fallimento della ragione in ordine ai problemi metafisici, la pratica quale criterio di verifica. Il pragmatismo si sviluppò tra la fine del sec. XIX e il primo ventennio del sec. XX, particolarmente nell'area culturale americana e anglosassone, ma ebbe vasti riflessi anche sul pensiero europeo continentale e segnatamente in Italia. Le tesi fondamentali del pragmatismo – come il termine stesso – furono introdotte dal filosofo americano C. S. Peirce, uno dei suoi maggiori rappresentanti; egli riconduce il problema gnoseologico a un atteggiamento pragmatico che è la vera fonte di ogni attività conoscitiva: per Peirce la conoscenza di una cosa è strettamente collegata all'interesse pratico e concreto che la cosa per noi presenta, e l'idea che ce ne facciamo non è che l'insieme, la somma delle idee che la cosa suscita per il nostro interesse pratico. Questo atteggiamento conoscitivo sarebbe l'unico genuino modo di cogliere il senso delle cose e degli oggetti, lasciando da parte tutte quelle formulazioni teoriche e astratte che tale senso appunto finiscono per smarrire. La preoccupazione principale di Peirce, dunque, è quella di stabilire una teoria del significato. Diverso invece il punto di vista dell'altro grande del pragmatismo americano, W. James, che sostiene una generale superiorità della pratica sulla teoria, e quindi stabilisce un criterio utilitaristico per giudicare della verità delle proposizioni scientifiche e filosofiche. Scendendo dai principi generali ai problemi particolari, il pragmatismo si sofferma sull'esistenza di Dio e sull'immortalità dell'anima: finché ci si ferma alle argomentazioni razionali – ragiona il pragmatista – non si va oltre il vuoto d'inerti tautologie, ma quando dall'accettazione del concetto di Essere assoluto discendono effetti positivi per la pratica della nostra vita morale e sociale, allora l'uomo accetta l'esistenza di Dio; e così è pure per l'immortalità dell'anima: essa è ammessa non per gli argomenti di una certa psicologia razionale, ma piuttosto per l'energia che sa imprimere alla nostra vita morale e sociale, si ha cioè una “volontà di credere”, che orienta il nostro giudizio. A questa prospettiva di un pragmatismo “magico-fideistico” aderì in Italia G. Papini nel periodo del Leonardo, mentre G. Vailati e M. Calderoni si attestarono sul pragmatismo di Peirce e Dewey, sottolineando il suo carattere positivistico. Non trascurabile fu anche l'influenza esercitata dal pragmatismo sulla formazione dell'esistenzialismo di Abbagnano. Fuori d'Italia il pragmatismo s'inserì nell'ampia corrente antintellettualistica in Francia con il contingentismo di Boutroux, con il convenzionalismo di Poincaré e con l'intuizionismo di Bergson; in Germania con l'empiriocriticismo di Mach e Avenarius; in Inghilterra con l'“umanismo” di F. C. S. Schiller.
Bibliografia
P. P. Wiener, The Evolution and the Founders of Pragmatism, Cambridge, 1949; E. P. Lamanna, Il Pragmatismo angloamericano, Firenze, 1952; E. L. Moore, American Pragmatism, New York, 1961; A. J. Ayer, The Origin of Pragmatism, Londra, 1968; C. Sini, Il Pragmatismo americano, Bari, 1972; A. Santucci, Storia del pragmatismo, Bari, 1992.