post-modern dance
espressione con la quale, a partire dalla fine degli anni Settanta del sec. XX, la critica statunitense e, più tardi, quella europea (ma con qualche confusione semantica, vedi postmoderno) ha cominciato a designare quell'insieme di esperienze artistiche in ambito coreografico coagulatesi, a partire dal 1960, in un movimento di reazione e di presa di distanza dai principi e dalle teorie dei pionieri della modern dance. Secondo Sally Banes, che della post-modern dance ha fornito per prima una compiuta e dettagliata analisi nei suoi numerosi articoli, saggi, interventi teorici e in particolare nel volume Terpsichore in Sneakers (1980), i presupposti della post-modern dance sono rintracciabili, già dalla fine degli anni Cinquanta, nell'attività di alcuni artisti dell'avanguardia newyorkese (James Waring, Aileen Passloff) e dell'area di San Francisco (Ann Halprin) nonché nell'azione di impulso alla ricerca e alla sperimentazione e nell'antiaccademismo di un caposcuola come Merce Cunningham. Proprio nello studio di Cunningham, a partire dal 1960 Robert Dunn, compositore e allievo di J. Cage, fu invitato a tenere un corso di composizione che – ispirato a un deciso antiautoritarismo e ai principi cagiani dei metodi aleatori di composizione e della sperimentazione con qualsivoglia materiale – raccolse intorno a sé un folto gruppo di giovani artisti, alcuni dei quali (Simone Forti, Trisha Brown, Yvonne Rainer, Meredith Monk) provenienti dai seminari della Halprin, altri (Steve Paxton, Judith Dunn, Gus Solomon jr.) dalla compagnia di Cunningham, altri ancora (Twyla Tharp e Lucinda Childs) da esperienze diverse. A partire dal 1962, per iniziativa dei coniugi Dunn, di Paxton e della Rainer, il gruppo – intorno al quale gravitavano anche giovani musicisti (La Monte Young, Terry Riley) e artisti visivi (R. Rauschemberg, R. Morris, Y. Ono) – cominciò a presentare con regolarità, con il nome di Judson Dance Theater, in locali messi a disposizione dalla Judson Memorial Church di New York, serate di danza accolte con crescente successo. Le danze presentate dagli artisti del Judson Dance Theater e, più tardi, da singoli artisti in luoghi diversi, a New York e altrove, erano caratterizzate dall'assenza di contenuti emotivi o narrativi, dalla scelta frequente di integrare elementi non-professionisti nell'esecuzione delle danze (e dunque da una radicale presa di distanza dal linguaggio tecnico della danza), da relazioni drasticamente innovative nella scelta e nella gestione dello spazio scenico, nella preparazione dell'illuminazione, della “scenografia” e dei costumi. Gesti e abbigliamento quotidiani erano utilizzati nelle danze, spazi del vivere collettivo – piazze, tetti, pareti esterne di grattacieli, soffitti, come nel caso delle geniali sperimentazioni antigravitazionali di Trisha Brown – erano utilizzati come luoghi dell'azione. Molte delle istanze degli anni Sessanta, l'antiautoritarismo, il movimento per i diritti civili, il movimento femminista e quello per la liberazione sessuale, influenzarono la nascita e l'evoluzione della post-modern dance, che è andata lentamente esaurendosi, in quanto movimento, al principio del decennio successivo, sopravvivendo comunque, in forme diverse, nell'opera coreografica di alcuni protagonisti di spicco (S. Paxton, T. Brown, L. Childs, M. Monk, e, in misura diversa, T. Tharp).