popolazióne (demografia)
IndiceGeneralità
L'insieme delle persone che, in un certo momento, si trovano in un dato Stato o regione o comune. In sede di censimento si distingue fra popolazione residente, avente residenza legale nel territorio sottoposto a rilevazione, e popolazione presente, cioè presente nel territorio al momento della rilevazione pur avendo residenza altrove. Altra distinzione è quella fra popolazione attiva e popolazione non attiva. La popolazione viene studiata in demografia nei suoi aspetti statici, cioè nelle caratteristiche strutturali (sesso, età, stato civile, professione, ecc.) da essa possedute in un dato momento, oppure nel suo evolversi attraverso nascite, morti, emigrazioni, immigrazioni. Va rilevato, d'altra parte, che caratteristiche strutturali e fenomeni di movimento sono strettamente interdipendenti, gli uni costituendo causa degli altri ed essendone a loro volta effetto. Così per esempio una struttura per età in cui predominano le classi giovanili avrà origine da un tasso di natalità tendenzialmente crescente ma favorirà a sua volta l'incremento della natalità stessa. Popolazione chiusa è una popolazione non interessata da movimenti migratori. È stabile se, essendo nulli i movimenti migratori, è sottoposta a un tasso di incremento naturale costante nel tempo (essa ha sempre la stessa composizione per età). È stazionaria se, sempre nell'ipotesi che sia chiusa, il suo ammontare rimane costante nel tempo, cioè il numero annuo dei nati resta uguale a quello dei morti e rimangono costanti la fecondità e la mortalità specifiche. Sia la popolazione stabile, sia quella stazionaria sono modelli teorici e, quindi, privi di un correlato empirico, se non eccezionalmente. In realtà, si è storicamente rilevato che le popolazioni concrete si evolvono attraverso una successione di fasi, ognuna delle quali caratterizzata da particolari combinazioni della natalità e della mortalità. Di solito si identificano quattro fasi tipiche: nella prima a un'alta natalità si accompagna un'alta mortalità (il tasso di incremento è ovviamente molto debole); nella seconda, detta fase di transizione, la mortalità tende a diminuire mentre la natalità si mantiene elevata (il tasso di crescita si intensifica); nella terza diminuisce anche la natalità così che la popolazione tende alla stazionarietà e, al limite, potrebbe diminuire se non intervenisse una ripresa della natalità stessa (quarta fase).
Cenni storici
Nell'epoca più remota il ritmo di sviluppo di una popolazione era prevalentemente condizionato dal livello della mortalità, governato a sua volta dalle condizioni economiche e ambientali in cui la vita delle popolazioni stesse si svolgeva. Ogni aumento di fecondità, infatti, aggravava la pressione demografica sulle risorse disponibili provocando un incremento della mortalità e riconducendo la consistenza della popolazione più o meno alla situazione iniziale. Tali condizioni si riprodussero per secoli, almeno finché l'uomo non fu in grado di controllare le risorse e provvedere alla tutela della propria integrità fisica. La popolazione mondiale, stimata a 5-10 milioni di unità intorno al 7000-6000 a. C., pare che all'inizio dell'era cristiana si aggirasse sui 200-400 milioni. "Per lo sviluppo storico della popolazione mondiale vedi tabella al lemma del 15° volume." "Vedi tabella dello sviluppo storico della popolazione mondiale vol. 17, pag. 408" Per tutto il primo millennio il suo ammontare non subì apprezzabili variazioni e anche per alcuni secoli dopo il Mille e fino al sec. XVII, a periodi di espansione si contrapposero periodi di declino cosicché il risultato fu di generale stagnazione. La popolazione dell'Italia che ammontava a ca. 6 milioni alla morte di Augusto (14 d. C.) salì intorno agli 8 milioni nei due secoli successivi e nel sec. XIII era ancora ferma su tale cifra. Il livello di 11 milioni, raggiunto verso la metà del sec. XVI (secolo peraltro in cui l'espansione interessò tutti i Paesi) rimase tale fino al sec. XVIII. Le uniche popolazioni europee che conobbero un elevato incremento durante il periodo medievale furono quelle delle regioni centrali e orientali (in particolare la Germania). Al di fuori dell'Europa "Per la popolazione delle maggiori regioni del mondo vedi tabella al lemma del 15° volume." "Vedi tabella della popolazione delle maggiori regioni del mondo vol. 17, pag. 408" si svilupparono le popolazioni della Cina e del Giappone, rimase stazionaria quella dell'India. Anche la popolazione dell'Africa ebbe un certo sviluppo, brutalmente poi arrestato dalle pesanti perdite causate dalla tratta degli schiavi. Nelle Americhe, le conquiste europee ridussero drasticamente le popolazioni indigene. In generale, si può osservare che, benché la fertilità fosse ovunque abbastanza elevata, calamità naturali, carestie, pestilenze e guerre mantennero la popolazione mondiale per secoli stazionaria, talché alla metà del sec. XVII il suo ammontare, stimato fra 470-545 milioni di abitanti, non era sensibilmente più elevato di quello all'inizio dell'era cristiana. Nel sec. XVIII la rivoluzione industriale, che portò a produrre di più e più rapidamente di quanto crescesse la popolazione, permise di rompere il legame negativo fra incremento demografico e risorse disponibili e di conciliare l'accrescimento del numero con quello della prosperità individuale. L'eccesso delle nascite sulle morti che si ebbe a partire dallo stesso sec. XVIII (nel 1800 la popolazione mondiale si aggirava intorno a 813-1125 milioni) e che indusse Th. R. Malthus a formulare il suo pessimistico principio di popolazione, continuò ancora più intensamente nel secolo seguente, non più arrestato dalla scarsità dei mezzi di sussistenza (nel 1850 la popolazione mondiale ammontava a 1128-1402 milioni di abitanti). Verso la fine del sec. XIX cominciò a diminuire anche la natalità e questo perché nell'Europa occidentale, a partire dal 1870-80 si cominciò deliberatamente a limitare le dimensioni della famiglia: la rivoluzione industriale aveva messo in circolazione una maggiore quantità di danaro, ma aveva anche instillato nell'animo della gente una specie di continua aspettazione di un miglioramento del tenore di vita, miglioramento condizionato dal numero dei figli. La mortalità continuò a decrescere in misura ancora più rilevante così che se dal 1851 al 1860 la popolazione crebbe a un tasso di incremento medio dello 0,6%, dal 1891 al 1900 crebbe a un tasso vicino all'1%. Successivamente, nei primi cinquant'anni del sec. XIX, l'incremento si mantenne entro limiti più modesti (0,8% in media all'anno) e questo soprattutto a seguito di un ulteriore calo della natalità. Dopo il 1950 è viceversa divenuta evidente una notevole accelerazione del ritmo di aumento della popolazione mondiale, ritmo che ha raggiunto livelli mai visti in precedenza (1,9% in media dal 1950 al 1965 e 1,8% dal 1965 al 1990) e tale da portare l'ammontare degli abitanti del globo a 5850 milioni (dati giugno 1996). L'incremento naturale medio della popolazione mondiale è dell'1,7% l'anno. Questo fortissimo tasso di crescita, che corrisponde a un raddoppio della popolazione in soli trent'anni, è dovuto a una forte diminuzione della mortalità, resa possibile dagli sviluppi in campo sanitario. Nel Terzo Mondo l'aumento della popolazione è il più forte che si sia mai verificato. Nei Paesi industriali, al contrario, la popolazione aumenta di pochissimo e in alcuni casi comincia a diminuire. Il tasso di natalità è sceso nei Paesi industriali a livelli molto bassi, al punto che è in pericolo il rinnovo generazionale (da due genitori nascono meno di due figli). L'Italia, il Belgio, l'Irlanda, l'Ungheria, la Germania vedono ridursi ogni anno il numero degli abitanti. Il tasso d'incremento annuo è dello 0,8% nei Paesi sviluppati dell'Occidente (15% della popolazione mondiale). La popolazione del Terzo Mondo rappresenta il 77% del totale e aumenta del 2% l'anno. I Paesi che rientravano nell'area socialista (URSS e Paesi del COMECON) rappresentano l'8% della popolazione mondiale con un tasso d'incremento dell'1%. Come conseguenza di questa evoluzione, l'Europa, che nel 1900 contava (esclusa la Russia) il 19% degli abitanti del globo, è scesa all'11%. "Vedi planisfero vol. 17, pag. 408" "Per la densità di popolazione vedi planisfero al lemma del 15° volume." Vicina ai 6 miliardi (5,98 miliardi di ab. nel 1999), la popolazione della Terra crescerà ancora per raggiungere, secondo le previsioni, i 10 miliardi verso il 2050, mentre si pensa che comincerà a stabilizzarsi intorno al 2070 a un livello di circa 12-14 miliardi di persone. Negli anni Novanta la crescita demografica annua, pur avendo subito un rallentamento (era pari all'1,5% nel 1996), ha mantenuto un ritmo assai preoccupante, non tanto per la disponibilità di prodotti alimentari, quanto per la difficoltà di ridistribuire la produzione alimentare nelle regioni dove più elevato è l'addensamento umano e dove, a causa del permanere di alti tassi di natalità, la situazione tende a divenire sempre più difficile. Con la diversa distribuzione della crescita cambiano i rapporti di densità: il valore medio di densità (44,7 ab./km² nell'insieme delle terre emerse) ha ormai un valore puramente indicativo. A partire dalla metà degli anni Ottanta, la densità degli abitanti in Europa e in Australia è rimasta praticamente invariata, mentre un'elevata crescita della densità si è registrata in Asia, che con 81 ab./km² (1998) ha raggiunto ormai il valore più alto, e in Africa; infine l'aumento delle Americhe risulta modesto rispetto alla media mondiale. Continua a crescere la popolazione delle fasce costiere (attualmente entro 60 km dal mare vive circa il 60% della popolazione mondiale) e delle grandi valli fluviali, soprattutto dei grandi fiumi asiatici. Diminuisce la popolazione montana delle zone temperate, aumenta sugli altopiani tropicali dell'Africa e dell'America Latina. Nei Paesi sviluppati, le grandi aree metropolitane hanno conosciuto negli anni Novanta un arresto dell'incremento, mentre continuano a crescere le città di medie e piccole dimensioni o le campagne vicine alle città; invece, nei Paesi in via di sviluppo il processo di urbanizzazione non si è fermato, al contrario ha ricevuto nuovo impulso, e va oltre le capacità ricettive delle stesse città e degli agglomerati urbani, per cui nelle maggiori metropoli del Terzo Mondo proliferano le bidonvilles. Il tasso di urbanizzazione dei Paesi sviluppati è passato dal 66% nel 1970 al 76% nel 1999 e, secondo le previsioni, raggiungerà l'84% nel 2030, quello dei Paesi meno sviluppati rispettivamente dal 25% al 40% e al 57%. La popolazione mondiale presenta un tasso di natalità inferiore al 25‰, cui fa riscontro una mortalità scesa (grazie soprattutto al calo della mortalità infantile, che nel 1997 era pari al 56‰) a circa il 9‰, di conseguenza anche il saldo naturale mostra una tendenza a ridursi. Alla discesa del tasso di natalità nel mondo ha contribuito notevolmente la Cina, dove a partire dagli anni Ottanta è stata adottata una rigida politica di controllo delle nascite: nel 1997-98 il coefficiente di natalità era del 17‰ e la mortalità del 7‰, ormai tra le più basse del mondo. La crescita demografica cinese ha subito quindi un netto rallentamento, al punto che nell'arco di pochi anni l'India diventerà il Paese più popoloso del mondo. Il numero medio di figli per donna in età fertile è di 2,8 (media mondiale): i valori più alti si registrano in Africa (in media 5,6 figli per donna), ma anche in India e Cina dove, anche se il tasso di fertilità è diminuito, la presenza di una consistente classe di età giovane manterrà il rinnovo generazionale ancora per molti anni. Diversa la situazione nei Paesi a economia avanzata, nei quali l'incremento demografico è sotto i limiti della sostituzione, per cui il mantenimento del livello attuale di popolazione non è assicurato. L'invecchiamento demografico fa crescere in questi Paesi il coefficiente di mortalità, e peraltro la percentuale degli anziani sulla popolazione complessiva è destinata ancora ad aumentare, con l'evidente conseguenza di un progressivo invecchiamento della forza lavoro. Anche la struttura della popolazione sta cambiando, sia a livello generale sia locale: tende a salire il numero delle femmine, dato che la loro speranza di vita alla nascita è più elevata in tutti i Paesi (nel 1997 la speranza di vita, nella media mondiale, era di 65 anni per i maschi, 69 anni per le femmine). "Per approfondire vedi Libro dell'Anno '97 pp 405-408" "Per approfondire vedi Libro dell'Anno '97 pp 405-408"
Diritto
Per la legge italiana, nella popolazione sono compresi sia i cittadini sia gli stranieri sia gli apolidi. Secondo l'ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, “in ogni comune deve essere tenuta l'anagrafe della popolazione residente, nella quale sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie e alle convivenze, che hanno fissato nel Comune la residenza, nonché le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio”.