Definizione

sm. [poli-+vinile]. Composto ottenuto dalla polimerizzazione di molecole contenenti il radicale vinile, scoperto da H.-V. Regnault fin dal 1835 e prodotto industrialmente la prima volta nel 1912. Attualmente esistono più composti, detti anche resine poliviniliche, e delle fibre tessili sintetiche ricavate dal cloruro di polivinile.

Acetato di polivinile

L'acetato di polivinile si ottiene per polimerizzazione di acetato di vinile sia in massa sia in soluzione in solventi aromatici o metanolo quando si vogliano ottenere bassi pesi molecolari, oppure in emulsione per pesi molecolari più elevati. I primi presentano sofficità e comportamento simile alla gomma, i secondi sono più rigidi e con elevata temperatura di rammollimento. Presenta solubilità in chetoni, esteri, idrocarburi aromatici, ma insolubilità in acqua e alcol, buona resistenza al calore e ai raggi ultravioletti, fino a temperature prossime ai 250 ºC alla quale si origina una perdita di colorazione. Sua caratteristica specifica è la bassa deformazione sotto carico e la mancanza di recupero elastico quando venga deformato; per tale motivo trova impiego come adesivo e ricoprente, piuttosto che come materiale plastico, particolarmente per giunzione di superfici porose (cuoio, carta) non sottoposte a eccessivi carichi specie se a temperatura elevata. Come resina, additivata con alte percentuali di riempitivi, serve a produrre cuoio artificiale e per la formatura di legni pressati; un uso speciale è l'additivazione al cemento per accelerarne il tempo di presa anche in presenza di scarse quantità d'acqua.

Alcol di polivinile

L'alcol di polivinile si ottiene per reazione di acetato di polivinile in alcol in presenza di soda caustica o di un acido minerale. La reazione avviene a temperatura ambiente e il prodotto formatosi è caratterizzato dalla percentuale di acetato non reagito; minore la percentuale, maggiore la solubilità in acqua e la resistenza agli oli. Per utilizzazioni dove si richieda bassa solubilità si fa seguire un trattamento di stabilizzazione con aldeidi o complessi ammoniacali di zinco. Presenta elevata reattività chimica, il che comporta un aumento di viscosità durante lo stoccaggio. Viene particolarmente impiegato come adesivo in soluzione acquosa, da solo o in miscela con latice di gomma naturale, caseina, destrina ecc., come ricoprente di carta con formazione di un film impermeabile ai gas, come agente per lo stampaggio, per la produzione di tubi da usarsi nei circuiti di lubrificazione di auto, aerei, come fibra per suture chirurgiche ecc.

Cloruro di polivinile

Il cloruro di polivinile è il polimero più noto, conosciuto anche con la sigla PVC, scoperto da Baumann fin dal 1872 ma prodotto industrialmente solo dopo il 1940. Il cloruro di vinile, la materia prima, ottenuto in passato per sintesi diretta da acetilene e acido cloridrico, viene oggi prodotto a partire dall'etilene, sottoponendolo a un processo di clorurazione seguita da ossiclorurazione. Nel primo stadio si ha la formazione del dicloruro di etilene, che viene poi sottoposto a cracking, con formazione di cloruro di vinile e cloruro di idrogeno. Nel secondo stadio altro etilene è fatto reagire con ossigeno e con il cloruro di idrogeno ottenuto nel primo stadio, con formazione ancora dell'intermedio dicloruro di etilene e di acqua. I processi di polimerizzazione più usati sono quelli in emulsione e in sospensione; la polimerizzazione in emulsione utilizza l'acqua come mezzo emulsionante, data l'insolubilità del monomero nella stessa, ed è realizzata in autoclavi rotanti o agitate. La temperatura di esercizio è di 45 ºC e una conversione di ca. il 90% si realizza in 24 ore. Sostanze riducenti come anidride solforosa e solfiti alcalini vengono aggiunte per accelerare la reazione. Terminata la polimerizzazione il monomero non reagito viene separato e l'emulsione inviata a un essiccatore a spruzzo dove il polimero è ottenuto sotto forma di polvere. Tale sistema operativo porta a un prodotto esente da impurezze e pertanto più pregiato. La polimerizzazione in sospensione, la più praticata in quanto meno costosa, si realizza in autoclavi agitate, a ca. 50 ºC, con il monomero mantenuto in sospensione con agenti sospendenti in percentuali di ca. l'1%. La reazione, fortemente esotermica, deve essere opportunamente controllata per avere un uniforme grado di polimerizzazione. La sospensione finale è quindi inviata alle centrifughe dove il polimero è separato dall'acqua che parzialmente asporta gli agenti sospendenti. La presenza di questi nel prodotto ne diminuisce i pregi in confronto a quello del polivinile ottenuto in emulsione. La densità è 1,4, il carico di rottura attorno a 700-800 kg/cm², con un allungamento relativo dal 5 al 25% in assenza di plastificante. Di buona resistenza agli agenti chimici, presenta però un'elevata instabilità alla luce e al calore che degrada il polimero con formazione di acido cloridrico; a prevenzione viene additivato con carbonati, ammine, stearato di piombo. Il cloruro di polivinile non stabilizzato, tecnicamente detto rigido, è trasformato per estrusione in lastre e tubi e per stampaggio in manufatti vari. Esso presenta caratteristiche meccaniche superiori al tipo plastificato poiché il plastificante, tendendo a trasmigrare verso l'esterno del manufatto, rende fragile il pezzo. Il polimero rigido viene usato, sotto forma di tubi, nell'industria per il trasporto e il convogliamento di liquidi corrosivi; il plastificato invece è usato, oltre che per tubazioni flessibili e film, soprattutto per rivestimento di tessuti e oggetti metallici. Miscele ad alta concentrazione di plastificante e polvere di cloruro di polivinile, dette plastisol, danno origine, una volta spalmate su tessuto e successivamente gelificate in forni continui operanti a 120-150 ºC, a rivestimenti elastici, molto simili al cuoio (similpelle). Viene inoltre impiegato come sostitutivo della gomma in cablaggi elettrici e per rivestimento di fili a causa della non infiammabilità e del basso assorbimento d'acqua. Di notevole importanza commerciale sono i copolimeri del cloruro di polivinile con acetato di polivinile e acrilonitrile che presentano rispetto al cloruro di polivinile rigido minori temperature di rammollimento e quindi migliore lavorabilità, maggior varietà di proprietà fisiche e un incremento nella stabilità termica; copolimeri con acetato di vinile hanno impieghi simili a quelli dell'omopolimero mentre quelli con acrilonitrile sono usati per la produzione di fibre sia per filatura da fuso sia da solvente. Infine un terpolimero cloruro di vinile, acetato di vinile, anidride maleica, trova impiego in film a cui è richiesta alta adesività.

Fluoruro di polivinile

Il fluoruro di polivinile si ottiene per polimerizzazione di fluoruro di vinile, con peso molecolare variabile fra 60.000 e 200.000. In genere è preferita la polimerizzazione in massa in autoclavi di acciaio inossidabile, sotto agitazione, in presenza di iniziatori di catena quali il perossido di benzoile. Presenta insolubilità nei solventi organici fino a 100 ºC, eccellente resistenza all'umidità, trasparenza sia alla luce visibile sia all'ultravioletto. Trasformato per stampaggio a compressione o per iniezione, trova impiego sotto forma di film per il rivestimento superficiale di metalli o legno a scopo decorativo, in particolare per pannelli prefabbricati per usi interni ed esterni.

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