panislamismo

sm. [sec. XX; pan-+ islamismo]. Movimento politico dei sec. XIX e XX originatosi dalla pressione imperialista europea che a partire dal secondo Settecento cominciò a gravare sui Paesi islamici, producendo sul piano ideologico una reazione che spesso assunse connotati religiosi: all'interno di questa tendenza fu particolarmente influente in un certo periodo – in particolar modo negli ultimi decenni dell'Ottocento – una corrente che predicava l'unità di tutti i musulmani. Del panislamismo si ebbero versioni reazionarie (il sultano ottomano ʽAbd ül-Ḥamīd II) e progressiste (in Egitto e nell'Iran), tutte peraltro messe tra parentesi dalla catena di rivoluzioni nazional-liberali che percorsero il mondo islamico a cominciare dal 1908. Dopo l'abolizione del califfato (1924), il panislamismo è stato sostenuto principalmente dall'Arabia Saudita come custode dei luoghi santi islamici, ma anche dal Marocco e dal Pakistan. L'idea panaraba ha poi avuto uno strenuo sostenitore nel presidente egiziano Nasser-70), il quale, mirando ad assicurare all'Egitto un ruolo guida tra i Paesi di recente indipendenza d'Asia e d'Africa, perseguì attivamente una politica panislamica. Alla fine degli anni Settanta il panislamismo ha ricevuto un nuovo impulso con la creazione della Repubblica Islamica (di rito sciita) in Iran, ma ciò ha creato anche turbative nella maggior parte del mondo islamico sunnita. Nuovi fermenti di panislamismo si sono verificati agli inizi degli anni Novanta in occasione della guerra del Golfo, quando nei Paesi arabi ufficialmente contrari alla politica irachena ampi strati della popolazione hanno dimostrato a favore dell'Iraq.

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